Se le liste d’attesa continuano ad allungarsi la responsabilità è anche dei cittadini, che chiedono sempre più prestazioni superflue, facendo lievitare la domanda in Veneto del 25%. Lo sottolinea il dottor Enzo Bozza, medico di famiglia con 1600 assistiti, un ambulatorio a Vodo di Cadore e l’altro a Borca in provincia di Belluno.
«Ormai i nostri studi sono diventati supermercati, in cui i pazienti pensano di poter venire a fare la spesa di prestazioni in base a quello che leggono su Internet, all’autodiagnosi, ai consigli di amici e parenti. Per l’80% degli utenti non esiste più il: dottore ho male qui, cos’ho? È saltato il criterio medico secondo il quale se hai dei sintomi il medico li interpreta e richiede ciò che serve a tracciare una diagnosi.
Oggi il paziente arriva e ti dice: ho male alla pancia, mi faccia l’impegnativa per il gastroenterologo; non respiro bene, mi serve la ricetta per prenotare una visita dal pneumologo; ho mal di testa, devo fare una Tac — continua Bozza —. Ormai noi medici di famiglia siamo diventati solo prescrittori per gli assistiti: loro dettano e noi dovremmo scrivere».
Distorsione del sistema che alimenta le prestazioni inappropriate e quindi ingolfa le liste d’attesa. Secondo il report presentato dalla Regione dal maggio 2023 al dicembre 2024 le prestazioni ambulatoriali da smaltire con priorità «B» sulla ricetta (vanno erogate entro 10 giorni) si sono azzerate; le «D» (entro 30 giorni) sono scese da 82.811 a 2.201 e le «P» (entro 60/90 giorni) sono diminuite da 74.489 a 5.304. Ma è una battaglia persa.
«Ormai fino al 40% degli esami di diagnostica per immagini, dalle Tac alle Risonanze magnetiche, è inappropriato — ha dichiarato Nicoletta Gandolfo, presidente della Società italiana di Radiologia medica e interventistica —. Sono esami in eccesso o inutili».
«È il consumismo sanitario — conferma Bozza — il mantra è: vado nell’ambulatorio-supermercato e chiedo qualsiasi accertamento mi venga in mente. Io vedo 50/70 pazienti al giorno e l’80% arriva con richieste precise: non si affida a me per la diagnosi, sa già quali specialisti consultare e quali esami affrontare. E invece non tutti gli accertamenti sono utili, pochi sono urgenti, benché nella testa del paziente tutto è grave e tutto è urgente. Non si ricorda che spetta al dottore stabilire la tempistica e l’opportunità di un’analisi e così facendo alimenta le liste d’attesa e con l’autodiagnosi rende inutile il nostro lavoro. Per ridurre le attese va evitato il fai da te da supermercato».
Le prestazioni inutili pesano anche economicamente sul Servizio sanitario nazionale: in Italia si stimavano alcuni anni fa 25 miliardi di euro in sprechi su 112 miliardi del Fondo sanitario nazionale, cioè il 22% del totale della spesa diretta e il 17% della spesa sanitaria globale, pubblica e privata, pari a 146 miliardi di euro. Una parte di responsabilità è però dei camici bianchi. «Per evitare querele da parte dell’utente le cui richieste non sono state soddisfatte o di sbagliare diagnosi in pazienti nuovi, molti medici prescrivono una quantità di visite inutili — spiega Bozza —. E così facendo contribuiscono a ingolfare le liste d’attesa, sempre più lunghe anche in intramoenia, cioè in regime di libera professione per il medico e a pagamento per il paziente. Ecco perché spesso i cittadini lamentano di non poter ottenere subito la prestazione nemmeno pagando».
La soluzione qual è? «Fornire gli ospedali e il territorio di camici bianchi e infermieri, ridare dignità e strumenti alla medicina del territorio, affinché i codici bianchi non finiscano in Pronto Soccorso. E rinsaldare il rapporto di fiducia tra dottore e assistito — completa il medico bellunese —. Una ricetta semplice, non serve ricorrere ai colleghi stranieri (la Regione assumerà medici stranieri con titoli non riconosciuti in Italia, ndr). Il vero problema è che le liste d’attesa sono diventate un business: le cliniche private fanno affari d’oro con l’impazienza dei pazienti e l’intramoenia degli ospedalieri arrotonda molto i magri stipendi erogati dalle aziende sanitarie pubbliche».
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