A novembre del 2023, poco prima che Javier Milei vincesse il secondo turno delle elezioni e diventasse presidente dell’Argentina, un gruppo di oltre 100 economisti inviò una lettera aperta in cui prevedeva la «devastazione» del paese. Gli economisti – tra cui alcuni molto famosi come Thomas Piketty – sostenevano che se Milei avesse messo in atto le sue proposte radicali e non convenzionali l’economia argentina sarebbe crollata.
Due anni più tardi, quella devastazione non c’è stata, anche perché Milei non ha mai davvero messo in atto le proposte folli di cui parlava da candidato. Ha ottenuto alcuni importanti successi macroeconomici, che però sono stati raggiunti a costi altissimi e sono ancora molto instabili.
Milei, un polemista ultraliberista, aveva promesso che avrebbe abbandonato il peso, la valuta argentina, in favore del dollaro statunitense: non l’ha fatto. Aveva promesso che avrebbe «dato fuoco» (cioè abolito, nel suo linguaggio colorito) alla Banca centrale argentina: non l’ha fatto. Aveva promesso che avrebbe interrotto completamente le relazioni commerciali con i paesi «comunisti assassini», compresa la Cina: non l’ha fatto, e anzi ha stabilito un buon rapporto con il presidente cinese Xi Jinping.
In quasi due anni di governo Milei ha adottato politiche molto più convenzionali, basate soprattutto su misure di austerità profonda che sono sì feroci e molto traumatiche per lo stato e la società argentine, ma non molto diverse da quello che in campagna elettorale proponeva la sua concorrente di centrodestra Patricia Bullrich, e da quello che da tempo raccomandano all’Argentina gli esperti delle grandi istituzioni mondiali, come il Fondo monetario internazionale.
Pur avendo abbandonato gran parte delle sue politiche economiche più estremiste, Milei non può essere definito un moderato. Il suo governo ha indebolito la democrazia in Argentina, minacciato la libertà di stampa, soppresso molti enti storici per la difesa dei diritti umani e delle minoranze. A livello politico e sociale, la situazione dell’Argentina è piuttosto critica. A livello economico invece ci sono stati alcuni successi, a cui però si accompagnano dubbi per il futuro.
Inflazione inflazione inflazione
Il problema principale dell’economia argentina – ma non l’unico – è l’inflazione. Quando Milei arrivò al governo, l’inflazione su base annuale (cioè quanto crescono i prezzi da un anno all’altro) era al 140 per cento circa, dopo aver sfiorato il 300 per cento nei mesi precedenti. Sono numeri insostenibili. Per paragone, in Italia l’inflazione ad agosto è stata dell’1,6 per cento, e nel momento di picco del 2022, l’anno peggiore dell’aumento dei prezzi in Europa, era arrivata all’11,8 per cento.
Con un’inflazione così alta l’economia era paralizzata. I prezzi potevano cambiare drasticamente dalla mattina al pomeriggio, rendendo quasi impossibile investire, fare acquisti importanti, programmare l’apertura di una nuova attività. Per la popolazione non era neanche più conveniente risparmiare, perché quello che si metteva via si svalutava rapidamente da un giorno all’altro.
In poco meno di due anni di governo, Milei è riuscito a far scendere l’inflazione drasticamente, dopo un iniziale aumento nei primi mesi. A luglio di quest’anno l’inflazione annuale era del 36,6 per cento. È ancora un dato altissimo se paragonato all’1,6 dell’Italia, ma il calo è comunque significativo.

Javier Milei a un comizio il 3 settembre 2025 (AP Photo/Natacha Pisarenko)
C’è riuscito in due modi. Ha ridotto drasticamente la spesa pubblica, trasformando quello che era un deficit fiscale (lo stato spendeva di più di quanto incassava dalle tasse) in un surplus (il contrario). Lo ha fatto con una campagna di austerità brutale, in cui ha congelato gli aumenti degli stipendi e delle pensioni, licenziato più di 30 mila dipendenti pubblici, bloccato gran parte dei progetti di infrastrutture pubbliche, eliminando sussidi e aiuti per le persone più povere, per le famiglie e per i trasporti. Ha ridotto la spesa per l’istruzione, per la sanità e per la cultura.
Grazie alla fine del deficit pubblico, la Banca centrale argentina ha smesso di stampare valuta, che lo stato usava per autofinanziarsi. Con meno valuta in circolazione, l’inflazione ha cominciato a scendere. Inoltre, con gli stipendi e le pensioni congelati e tanti sussidi eliminati, molte persone hanno cominciato a comprare meno beni perché avevano meno soldi, e anche questo ha contribuito a ridurre l’inflazione.
Il secondo metodo con cui Milei ha fatto scendere l’inflazione è stato tramite il peso, la valuta argentina, che Milei stesso disse valeva «meno di un escremento». Semplificando molto, l’Argentina ha usato una serie di misure finanziarie e monetarie per sostenere il valore del peso, per esempio aumentando i tassi d’interesse, costringendo le banche ad aumentare le proprie riserve per far circolare meno moneta, e soprattutto vendendo sul mercato le proprie riserve di dollari statunitensi. Se compri pesos con dollari, aumentandone la domanda e riducendone l’offerta, il valore dei pesos aumenta.
Dopo un crollo iniziale il peso ha effettivamente cominciato a recuperare valore contro il dollaro. Se la valuta vale di più, l’aumento dei prezzi (cioè l’inflazione) diventa meno intenso. Attualmente il peso ha un valore abbastanza alto per gli standard argentini, tanto che alcuni economisti dicono perfino che sia troppo alto.
Com’è andata
Dopo le prime settimane di presidenza, molto dure per Milei sotto diversi punti di vista, la “terapia shock” del presidente argentino aveva cominciato a funzionare.
Al momento del suo insediamento, nel dicembre del 2023, gli argentini sotto la soglia di povertà erano il 41,7 per cento. A gennaio del 2024 il tasso di povertà aveva un iniziale grosso peggioramento a causa dei tagli ai sussidi, arrivando al 53 per cento, ma poi gli effetti del calo dell’inflazione avevano cominciato a farsi sentire. La situazione si era stabilizzata e il tasso di povertà era sceso al 34,7 per cento nel maggio del 2025. Era stata la diretta conseguenza di aver frenato l’aumento incontrollato dei prezzi: se i prezzi aumentano di meno, le persone si impoveriscono di meno.
Questa primavera l’Argentina ha anche ottenuto un prestito da circa 20 miliardi di dollari dal Fondo monetario internazionale, segno del fatto che le grandi istituzioni hanno ricominciato a fidarsi del paese.
Anche l’economia argentina aveva ricominciato a crescere: nel primo trimestre del 2025 il PIL era cresciuto del 6,1 per cento su base annuale, un dato eccellente. Era stato dopo quel periodo che le politiche di Milei avevano cominciato a essere definite un successo.
Bisogna però fare un po’ la tara a questi primi successi, che sono stati soprattutto macroeconomici, cioè legati ai grandi movimenti dell’economia, e che hanno impattato sulla popolazione in modo diverso. Per esempio, se è vero che nel 2024 il tasso di povertà si era abbassato in generale, al tempo stesso il taglio dei sussidi, dei programmi sociali e della sanità pubblica determinato dalle politiche di austerità aveva danneggiato e continua a danneggiare particolarmente le persone più povere e vulnerabili. Queste hanno sì beneficiato di un costo della vita più controllato, ma si sono viste togliere gli aiuti su cui contavano.

Una protesta a Buenos Aires contro i tagli di Milei alla ricerca scientifica, maggio 2025 (Tobias Skarlovnik/Getty Images)
Inceppato?
Dall’inizio dell’estate però i successi economici di Milei hanno cominciato a incepparsi. Se le politiche di riduzione dell’inflazione hanno ottenuto eccellenti risultati iniziali, il governo non sta riuscendo a portare l’inflazione vicina a livelli ritenuti normali (attorno al 2 per cento annuo). Inoltre la decisione di sostenere il valore del peso vendendo riserve monetarie in dollari è diventata sempre più problematica. Con un peso forte aumentano le importazioni dall’estero, che sono più convenienti, ma diminuiscono le esportazioni, e questo danneggia l’industria nazionale.
Vendere le riserve in dollari indebolisce anche la stabilità dello stato, perché i dollari servono all’Argentina per ripagare i propri debiti internazionali. Se mancano, gli investitori internazionali potrebbero cominciare a pensare che l’Argentina non abbia abbastanza soldi per ripagare i propri debiti. Milei sperava di aver stabilizzato a sufficienza l’economia da convincere gli investitori internazionali a tornare in Argentina per aprire fabbriche e attività, ma il paese è ancora ritenuto troppo rischioso, e gli investimenti internazionali (utili per la crescita e per far entrare dollari nel paese) non si sono visti.
Dopo essere sceso per tutto il 2024, all’inizio del 2025 il tasso di disoccupazione ha ripreso a salire. Anche la crescita del PIL, che è prevista del 5 per cento per il 2025, potrebbe essere deludente, a giudicare dagli ultimi dati sull’attività economica argentina.
Alcune analisi sostengono che l’inceppamento sia momentaneo, e che Milei abbia comunque messo l’Argentina sulla strada giusta. Secondo questa interpretazione il problema principale è che Milei non ha la forza politica per continuare a fare le riforme che servirebbero all’economia, come liberalizzazioni e deregolamentazioni. Il suo partito, La Libertad Avanza, non ha la maggioranza in parlamento: ha 7 senatori su 72 e 37 deputati su 257, e per legiferare il presidente deve farsi sostenere da altri partiti di destra e centrodestra.
A ottobre in Argentina ci saranno le elezioni legislative (che vanno considerate un po’ come le elezioni di metà mandato negli Stati Uniti: saranno rinnovate parte della Camera e del Senato, ma il presidente rimarrà lo stesso). Il partito di Milei dovrebbe migliorare la propria posizione ma non è chiaro se riuscirà a ottenere la maggioranza che il presidente vorrebbe, anche visti i recenti scandali.
Un’altra interpretazione è che quello di Milei sia un esperimento che, dopo un iniziale successo, starebbe imboccando la strada del fallimento. Questo era già avvenuto nella storia dell’Argentina, quando dapprima il presidente Carlos Menem negli anni Novanta e poi Néstor Kirchner negli anni Duemila risollevarono inizialmente l’economia, ma non riuscirono a evitare che, dopo pochi anni, cominciasse una nuova crisi.
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