Contro il Giappone è arrivata la 18esima sconfitta consecutiva, e anche se la rivincita con i nipponici dovesse andar bene non servirebbe a ridurre il clamoroso buco nero in cui sta precipitando il rugby gallese: tra problemi economici, fuga di campioni (anche in Nfl) e una gestione sciagurata, le cause del tracollo sono tante
Francesco Palma
11 luglio – 16:54 – MILANO
Il Galles ha toccato il fondo. Australia (tre volte), Francia (due volte), Inghilterra (due volte), Italia (due volte), Scozia (due volte), Irlanda (due volte), Sudafrica (due volte), Argentina, Figi e Giappone: sono le 18 sconfitte consecutive dei gallesi, la peggior striscia negativa della loro storia. Sabato scorso, in Giappone, il punto più basso: il Galles passa in vantaggio, sembra a un passo dalla fine dell’incubo, poi prende un assurdo 17-0 di parziale nel secondo tempo e perde 24-19. È la sconfitta numero di 18, e la squadra guidata (chissà ancora per quanto, visto che è un coach ad-interim) da Matt Sherratt scenderà in campo nuovamente in Giappone per tentare un ultimo disperato assalto alla vittoria. Il problema è che ormai il danno è stato fatto, e anche un successo contro i nipponici (una buona squadra, ma lontana parente di quella che arrivò ai quarti di finale del Mondiale 6 anni fa) non restringerebbe il buco nero in cui sta clamorosamente precipitando un pezzo di storia del rugby. Certo, il materiale umano non è quello di un tempo, campioni ce ne sono pochi e sicuramente il livello tecnico non è quello dei grandi fasti del passato, ma non basta a spiegare un tracollo che va ben oltre l’aspetto sportivo, per quanto i due cucchiai di legno consecutivi (con 3 sconfitte in 4 anni subite dall’Italia) e il 14esimo posto nel ranking siano già tragici di per sé. Le motivazioni del disastro gallese vanno cercate nelle fondamenta di un sistema che non funziona più, in una gestione economica scellerata (e quella umana è ancora peggiore, chiedere alle ragazze della Nazionale femminile per informazioni) e nell’incapacità di cogliere i segnali di crisi prima del disastro.
una squadra senza allenatore—
Specchio evidente di una squadra e di un movimento che ha perso da anni la bussola è la gestione dell’allenatore, che di fatto ad oggi non esiste: dopo le dimissioni di Warren Gatland, c.t. del grande Galles degli anni ’10 richiamato a furor di popolo (salvo poi dichiarare un mese dopo il suo ritorno “se avessi saputo che la situazione era questa non sarei tornato”) e poi cacciato dopo essersi accorti che miracoli non se ne possono fare e che le minestre riscaldate non funzionano quasi mai, è stato chiamato come allenatore ad interim Matt Sherratt, tecnico del Galles. Sherratt ha fatto quello che ha potuto, portando i suoi a giocare una gran partita con l’Irlanda salvo poi crollare miseramente nell’ultima giornata contro l’Inghilterra (68-14) e chiudere il Sei Nazioni all’ultimo posto e senza vittorie per il secondo anno consecutivo, staccati anche da un’Italia che tra alti e bassi è sempre più competitiva e soprattutto adesso batte regolarmente i gallesi. Sherratt doveva essere solo un traghettatore, anche perché lui per primo aveva escluso categoricamente l’idea di guidare a tempo pieno la polveriera gallese, solo che alla fine la WRU un allenatore ancora non l’ha trovato (si parla di Steve Tandy, assistente di Townsend alla Scozia, che ha un contratto fino al termine delle Summer Series) e quindi il buon Matt si è trovato a dover guidare la Nazionale anche in Giappone, in una tournee al momento fallimentare.
il tracollo economico—
Il problema principale però non è sportivo, ma inevitabilmente economico. Secondo gli ultimi dati la WRU (la Federazione Gallese) ha accumulato un debito di 20 milioni di sterline, e il sistema delle 4 franchigie professionistiche – Cardiff, Ospreys, Scarlets e Dragons – che giocano lo United Rugby Championshp (una sorta di “superlega” che raggruppa tutte le nazioni europee che non possono permettersi un vero campionato professionistico come appunto Galles, Irlanda, Scozia e Italia, con l’aggiunta del Sudafrica) scricchiola ormai da anni. Probabilmente 4 squadre non sono sostenibili oggi, ma tagliarne una – se non due, e il rischio c’è – comporterebbe lasciare a casa decine di giocatori, oltre ad allenatori e altri professionisti. Cardiff è andata vicinissima al collasso ed è stata salvata solo dall’acquisto da parte della Federazione dopo essere entrata in amministrazione controllata, ma potrebbe non bastare se tutte le 4 squadre non accetteranno l’ennesimo accordo al ribasso per salvare l’intera baracca. L’accordo, chiamato PRA25, pone come garanzia la sopravvivenza di 3 franchigie, non 4: infatti Ospreys e Dragons non l’hanno firmato (Cardiff, ovviamente, non aveva scelta) poiché temono che l’idea della WRU sia di navigare a vista e vedere quale delle 4 squadre salta prima per aria. Insomma, la situazione non è per niente buona, ma se non firmano tutti il rischio è che comunque le squadre perdano altri fondi e vengano escluse dal sistema professionistico.
le ragioni della crisi—
Le ragioni della crisi La crisi parte da lontano, da quando il Covid mise in ginocchio l’economia gallese costringendo la WRU a chiedere 20 milioni di sterline in prestito dal governo britannico, dopo averne persi 35. I soldi, però, non bastarono. Nel 2023, dopo l’annuncio del primo taglio degli stipendi, i giocatori minacciarono uno sciopero nel bel mezzo del Sei Nazioni, a pochi giorni dalla sfida con l’Inghilterra. Il tetto salariale delle squadre era stato ridotto a 5,2 milioni di sterline e l’anno successivo (nella stagione 24-25) sarebbe diventato addirittura di 4,5, con uno stipendio medio che si aggirava intorno alle 8.333 sterline al mese e un minimo salariale di 2500. I giocatori rifiutarono di scendere in campo con l’Inghilterra: non tanto per loro stessi, ma per i compagni di squadra dei club che rischiavano di perdere il lavoro o di dover mantenere una famiglia con il minimo dello stipendio, sicuramente più alto rispetto alla media, ma tremendamente basso considerando che si parla di uno sport ad altissimo rischio infortuni, dove non sai fino a quando potrai continuare e in cui se ti va bene smetti a 35 anni e devi aver messo un po’ di soldi da parte per costruirti un futuro anche dopo. Lo scioperò rientrò con l’impegno della WRU di garantire la nazionale anche ai giocatori che decidevano di andare a giocare all’estero per guadagnare di più: prima, chi aveva meno di 60 presenze e lasciava il Galles non poteva essere convocabile, e il tetto fu abbassato a 25.
la fuga e le sirene nfl—
Non bastò, perché proprio nel 2023 cominciò un lunghissimo esodo di giocatori: Cory Hill rinunciò a giocare un Mondiale in cui sarebbe stato titolare per trasferirsi ai Secom Rugguts: una squadra di quarta serie giapponese, sì, ma sponsorizzata da una compagnia di vigilanza privata che poteva garantire molti soldi al campione gallese. Insieme a lui sono andati via anche campioni come George North (al Provence in ProD2, la ricca seconda serie francese) e giovani prospetti come Joe Hawkins, che trasferendosi ad Exeter in Inghilterra ha anche rinunciato alla Nazionale, non avendo raggiunto le 25 presenze necessarie per essere convocabile. L’altro problema è proprio questo: se l’obiettivo dei giocatori è sopravvivere economicamente, allora anche la rinuncia alla Nazionale diventa legittima, pur di mettere da parte un po’ di soldi in campionati dove si viene pagati meglio. E poi c’è il caso Rees-Zammit, quasi una storia a parte in questo marasma. Era il più luminoso talento della nuova generazione gallese, e a un mese dal Sei Nazioni 2024 ha mollato tutto per tentare il salto nel vuoto in Nfl, dove sicuramente ha guadagnato molto di più, peccato che da quel momento non ha più giocato una vera partita: dopo aver superato l’International Player Pathway, il programma di allenamento e selezione riservato ai non americani, aveva conquistato un primo contratto coi Chiefs, che però l’avevano tagliato poco dopo. Sono arrivati allora i Jacksonville Jaguars ad offrire una scialuppa di salvataggio a Rees-Zammit, che nel frattempo aveva fatto sapere di non avere alcuna intenzione di tornare in Galles: anche qui, però, solo tribuna e partite con la seconda squadra. L’esordio in Nfl sembra sempre più lontano, e anche le sicurezze di Rees-Zammit iniziano a vacillare, tanto da riaprire una porticina per un possibile ritorno al rugby: secondo le diverse testate britanniche, infatti, il giocatore si sarebbe posto una “deadline” entro la fine della stagione 2025-26. Se le cose dovessero andare male, potrebbe tornare al rugby.
sessismo e polemiche—
Se la gestione economica della WRU è stata disastrosa, quella umana è riuscita nell’impresa di essere addirittura peggiore. Ne ha fatto le spese la Nazionale femminile, dopo una serie di vicende che hanno dell’incredibile. La prima bomba scoppia nel 2023, quando un’inchiesta della BBC fa emergere numerose testimonianze di comportamenti sessisti e misogini all’interno della Federazione: vennero fuori 4 casi, tra cui uno vide un membro della Federazione urlare pubblicamente che avrebbe voluto violentare Charlotte Wathan, direttrice del rugby femminile. La seconda bomba scoppia nel 2024, quando viene fuori che la Federazione avrebbe ricattato le giocatrici della Nazionale femminile costringendole ad accettare l’accordo proposto, pena l’esclusione dalla squadra. Il rugby femminile è infatti dilettantistico quasi dappertutto, di conseguenze le giocatrici di alto livello vengono tutelate con dei contratti semi-professionali (accade anche in Italia) in modo da permettere loro di concentrarsi maggiormente sullo sport: le giocatrici gallesi, però, avevano chiesto più tutele per quanto riguarda la retribuzione e la gestione della maternità, e la gestione della WRU ancora una volta fu disastrosa, tanto da causare persino l’ingresso della politica nella vicenda, con il ministro dello sport gallese schierato al fianco delle ragazze. L’allenatore Ioan Cunningham si dimise in seguito allo scandalo, mentre la WRU rifiutò le accuse di discriminazione limitandosi a parlare di una “pianificazione errata”, ma la capitana gallese Hannah Jones dichiarò di aver pensato di lasciare il rugby dopo quanto accaduto. Insomma, i risultati sul campo sono l’ultimo dei problemi del rugby gallese, che sembra ancora lontano da una soluzione, al di là di quando finirà o meno questo digiuno di vittorie.
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