AAA cercasi ancora di salvezza per l’auto in Europa. Astenersi perditempo. Sembra questo l’appello in arrivo da ogni parte – politica e industriale – per evitare che il mercato a automobilistico nel Vecchio Continente arrivi al collasso. Le strade proposte sono diverse ma ora sembrano convergere verso un punto comune: riportare il vita il segmento delle piccole.
Auto dalle dimensioni contenute, magari elettriche, con prezzi alla portata di tutti. Un’idea certo non rivoluzionaria – la Nuova Fiat 500 nel 1957 ha rivoluzionato gli spostamenti in Italia – ma che si propone di invertire una tendenza che sta facendo crescere dimensioni, prezzi delle auto. L’Europa quindi guarda all’esempio delle kei car (o K-car) giapponesi, provando a replicarne il successo.
Cosa sono le kei car?
Il termine kei car si riferisce a una categoria di auto prodotte in Giappone che devono rispettare determinate regole, sia per quanto riguarda le dimensioni sia sotto l’aspetto della potenza. Una kei car infatti deve essere lunga non più di 3,4 metri e larga non più di 1,48, con motore che non superi i 64 CV di potenza e cilindrata massima di 660 cc.
Daihatsu Tanto
Foto di: Daihatsu
Auto per la città dunque, perfette per risparmiare spazio muovendo comodamente fino a 4 occupanti (guidatore compreso). Perfette per le strade italiane e non solo. In Giappone rappresentano mediamente il 40% delle immatricolazioni, che nel 2024 sono state circa 4,4 milioni. Significa 1,76 milioni di kei car vendute. Al di là delle dimensioni ultra compatte, perché sono così di successo?
Si tratta di auto dalle dimensioni ultra ridotte, prodotte e commercializzate in Giappone, dove storicamente continuano a registrare successi commerciali. Piccole adatte alla città con prezzi contenuti, che da noi in Europa – per motivi che spiegheremo qui sotto – non vengono vendute.
Ora stanno diventando di moda, almeno sulla carta e negli ultimi giorni si sono trovate al centro del dibattito, facendo eco alle dichiarazioni di qualche mese fa di John Elkann, presidente di Stellantis
L’Europa dovrebbe certamente avere delle E-Car. Se il Giappone ha le K-Car, che catalizzano il 40% del mercato, non c’è motivo per cui l’Europa non dovrebbe avere delle E-Car”
Honda N Box
Foto di: Honda
Visione comune
Prima è stato il turno di Jean-Philippe Imparato, a capo della divisione europea di Stellantis, che al Salone di Monaco 2025 ha dichiarato
“Proponiamo di rivitalizzare, riportare in alto, ricreare il segmento A delle auto in Europa. Le persone non hanno soldi per comprare auto nuove a più di 20.000 euro”
Se all’inizio sembrava solo un voler riprendere il concetto di Elkann, non ci è voluto molto perché ci si rendesse conto come le parole del manager francese fossero il prologo a una discussione ben più ampia.
Da una parte Ursula von der Leyen
“Credo che l’Europa dovrebbe avere la sua auto elettrica, E sta per ecologico, l’auto deve essere pulita, efficiente e leggera. Ma E sta anche per economica: accessibile a tutti. Come E sta per europeo, costruito qui in Europa, con filiere europee perché non possiamo permettere alla Cina e ad altri di conquistare questo mercato“.
“La presidente Von der Leyen ha recepito alcune delle nostre indicazioni, come quella sulla kei car europea, ma bisogna agire subito: servono strategie e fondi”.
Si fa presto a dire piccolo
Se da una parte quindi vedere come industria e politica abbiano – finalmente – una visione comune, dall’altra bisogna fare i conti con la realtà. Fatta non solo di produzione, ma anche di burocrazia. Come detto infatti in Giappone le kei car godono di un regime fiscale agevolato.
Lo Stato riconosce sconti per chi acquista una kei car, sia per quanto riguarda la registration tax (tassa da pagare quando si acquista un’auto) sia per l’equivalente del nostro bollo auto. Inoltre sono acquistabili da chiunque: se in Giappone si vuole comprare un’auto nuova bisogna dimostrare di possedere un box o un posto auto, cosa che invece non è necessaria se si acquista una kei car. L’Europa è pronta a deliberare velocemente e in tal senso, dando il via a una nuova politica ad hoc per le auto piccole?
Per esempio, nel suo intervento Imparato ha parlato di sostenere – non necessariamente tramite incentivi statali – l’acquisto di citycar senza che queste siano necessariamente elettriche. Perché un’auto piccola consuma sicuramente meno di una più grande. Figuriamoci anche se più vecchia.
Perché le kei car non arrivano in Europa?
L’equazione sarebbe semplicissima: auto piccole, con differenti tipologie di motorizzazioni (benzina, ibrida o elettrica) e a prezzi convenienti. Cosa impedisce quindi ai costruttori giapponesi – la top 3 delle vendite in patria è occupata da Daihatsu, Suzuki e Honda – di esportare le kei car in Europa?
Risposta: l’omologazione in Giappone è diversa da quella valida in Europa e l’opera di trasformazione costerebbe troppo, facendo salire i listini.
Le kei car all’europea
Le E-Car possono essere economiche, veramente accessibili. Possono essere europee, possono essere costruite in Europa. Perché in fin dei conti, se possiamo avere la giusta regolamentazione, non solo si può costruire in Europa, ma si può comprare in Europa
Le parole di Elkann quindi sottolineano la necessità di creare una filiera che permetta ai costruttori europei di costruire le loro kei car, puntando naturalmente sull’elettrico. Anche perché, trattandosi di auto dedicate prevalentemente alla città, non ci sarebbe bisogno di montare batterie particolarmente grandi, salvaguardando quindi il prezzo finale.
Si tratterebbe poi di auto vere e proprie e non di microcar, veicoli che in Italia stanno riscontrando un buon successo commerciale, con limiti dovuti a spazio e prestazioni.
Abbiamo quindi trovato l’uovo di Colombo? Più o meno. Perché le dimensioni contano e non basta solo il prezzo basso per convincere gli automobilisti ad acquistare modelli particolarmente piccoli come potrebbero essere le kei car europee.
I pro sarebbero comunque numerosi: si potrebbero riconvertire fabbriche in disuso o con linee di produzione a mezzo servizio, creando posti di lavoro e ridando linfa a una filiera da tempo sofferente. Aiutando le Case a rispettare le regole relative alle emissioni di CO2.
Le kei car europee potrebbero quindi magari non salvare in toto il mondo automotive del Vecchio Continente, ma aiutarlo a uscire dalla palude in cui si trova. La condizione necessaria sarebbe però fare sistema tra costruttori e politica. Ce la potremo fare?