La Ferrari sta giocando una partita ad altissima posta per il 2026, una partita che potrebbe ridefinire il suo destino nella nuova era della Formula 1. Il progetto del nuovo propulsore rappresenta una delle sfide tecniche più ambiziose mai intraprese dalla Gestione Sportiva. Non si tratta semplicemente di sviluppare un nuovo motore ma di ripensare completamente l’approccio alla progettazione della power unit, spingendo i limiti della tecnologia fino a territori inesplorati.

La testata del motore, realizzata con tecnologie di Additive Manufacturing (DMLS – Direct Metal Laser Sintering), utilizza leghe inedite capaci di lavorare a pressioni e temperature di esercizio superiori rispetto al passato. Questa scelta tecnica radicale non è un vezzo ingegneristico ma una necessità strategica: permettere alla vettura di montare radiatori significativamente più piccoli con un impatto decisivo sull’efficienza aerodinamica. È qui che si gioca la vera partita del 2026.

Il reparto motoristi guidato da Enrico Gualtieri sta sfruttando quello che dovrebbe  da sempre essere il vantaggio competitivo della Ferrari: la vicinanza tra reparto motore e telaio, al fine di favorire un’integrazione che consenta soluzioni innovative e aggressive. Mentre Mercedes può contare su un know-how consolidato nell’elettrificazione e Red Bull si appoggia a Ford soprattutto per quanto concerne la componentistica elettrica, Ferrari punta tutto sull’integrazione estrema tra propulsore e vettura.

Ma c’è un’ombra che si allunga su questo progetto ambizioso. Secondo quanto riportato da molti, Ferrari non ha ancora provato al banco l’intera power-unit del 2026, un motore che sarà diviso al 50% tra potenza termica e elettrica, a soli tre mesi dall’omologazione ufficiale e dal congelamento, dunque, del progetto. Un dettaglio non da poco, che alimenta i dubbi nel paddock. Le partenze di Wolf Zimmermann e Lars Schmidt verso l’Audi di Mattia Binotto non sono passate inosservate (ne abbiamo parlato qui: F1 | Ferrari: l’esodo dei motoristi e il bivio per la rivoluzione 2026) e le loro partenze – insieme anche a quella di Tas – arrivano in un momento delicato per la Scuderia.

La sensazione, comunque, è che regni, attorno a Ferrari, ancora un clima di forte preoccupazione. In tanti addetti ai lavori, poi, riportano la maggiore incertezza sui motori che Ferrari e Honda stanno sviluppando per rispettare i nuovi regolamenti 2026, mentre Mercedes viene universalmente considerata in vantaggio nello sviluppo del propulsore ibrido che dovrà bilanciare perfettamente il 50% di potenza endotermica con altrettanta energia elettrica.

La strategia Ferrari appare chiara ma rischiosa: sacrificare parte dell’affidabilità iniziale per un vantaggio aerodinamico potenzialmente decisivo. L’idea di ridurre drasticamente le masse radianti attraverso un motore capace di operare a temperature estreme è geniale sulla carta, ma la sua realizzazione pratica richiede un salto tecnologico che nessuno ha mai tentato a questi livelli in Formula 1.

C’è poi la questione politica. Ferrari e Red Bull hanno cercato di modificare la ripartizione di potenza tra componente termica ed elettrica, suggerendo uno sbilanciamento verso il motore a combustione. Il tentativo di portare la ripartizione a 70/30 o addirittura 80/20 a favore del motore termico tradisce una certa insicurezza sulla capacità di competere con Mercedes nel campo dell’elettrificazione avanzata.

Il paradosso è evidente: mentre Ferrari cerca di infondere fiducia, le mosse dietro le quinte raccontano una storia diversa. L’arrivo di Hamilton – un anno fa ormai – è dovuto anche alla convinzione dalla bontà del progetto 2026 ed aggiunge ulteriore pressione. Il sette volte campione del mondo ha scommesso su una Ferrari capace di replicare quanto fatto da Mercedes nel 2014. Ma ad oggi è difficile credere che sia davvero così.

La verità è che Ferrari sta tentando di vincere la partita del 2026 non battendo gli avversari sul loro terreno, ma cambiando completamente le regole del gioco. Se il motore del futuro manterrà le promesse, permettendo di ridurre drasticamente l’ingombro dei radiatori senza compromettere affidabilità e prestazioni, Maranello avrà in mano un vantaggio competitivo enorme. Ma se qualcosa dovesse andare storto, se le temperature estreme dovessero creare problemi di affidabilità o se l’integrazione tra parte termica ed elettrica non dovesse funzionare come previsto, il rischio è quello di ritrovarsi con un altro 2014, quando il gap di Ferrari da Mercedes apparse effettivamente incolmabile in tempi  brevi. 

La sensazione, osservando i movimenti nel paddock e ascoltando i rumors che filtrano da Maranello, è che Ferrari stia giocando il tutto per tutto. Non c’è una via di mezzo in questo progetto: o sarà un capolavoro di ingegneria che ridefinirà gli standard della Formula 1, o sarà l’ennesima occasione mancata. E con soli pochi mesi all’omologazione e il motore completo ancora da testare al banco, il tempo per correggere eventuali problemi si sta rapidamente esaurendo.