Un cittadino italiano può farsi curare in un altro Paese UE e chiedere il rimborso. Dalla richiesta di autorizzazione preventiva ai casi d’urgenza, ecco le regole e le procedure da seguire.

Affrontare una malattia è una sfida complessa, che diventa un vero e proprio percorso a ostacoli quando le cure necessarie non sono disponibili in Italia o sono accessibili solo dopo attese interminabili. In questi momenti, la possibilità di rivolgersi a un centro di eccellenza in un altro Paese dell’Unione Europea rappresenta più di una speranza: è un diritto. Ma una volta trovata la struttura adatta, la domanda sorge spontanea e carica di preoccupazione: per le cure all’estero in UE, come ottenere il rimborso dall’ASL?Non si tratta di una scelta libera e incondizionata, ma di un percorso regolato da normative precise, che mirano a bilanciare il diritto fondamentale alla salute del cittadino con la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale. La via maestra è quella dell’autorizzazione preventiva, ma esistono anche delle eccezioni per i casi più gravi e urgenti. Conoscere le regole è il primo passo per far valere i propri diritti.

Quali cure all’estero sono rimborsabili dal SSN?

Il diritto di un cittadino italiano a ricevere assistenza sanitaria in un altro Stato dell’Unione Europea e a ottenerne il rimborso si fonda su una specifica normativa europea, recepita in Italia (in particolare con il Decreto Legislativo 4 marzo 2014, n. 38). Il principio di base è che il paziente anticipa i costi delle cure e, successivamente, ne chiede il rimborso alla propria Azienda Sanitaria Locale (ASL) di appartenenza. Questo percorso è definito “assistenza indiretta”.

Perché una prestazione sanitaria sia rimborsabile, devono essere rispettate due condizioni fondamentali. La prima è che la cura in questione deve rientrare nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), ovvero l’insieme delle prestazioni e dei servizi che il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è tenuto a fornire a tutti i cittadini. La seconda riguarda l’importo: il rimborso non può superare la spesa effettivamente sostenuta dal paziente e, in ogni caso, sarà pari al costo che il SSN avrebbe sostenuto se quella stessa cura fosse stata fornita in Italia (Delibera n. 14/2020/G). Se la prestazione all’estero costa di più della tariffa italiana, la differenza resta a carico del paziente.

Quando è obbligatoria l’autorizzazione preventiva?

Sebbene il principio sia quello della libertà di accesso alle cure, la normativa italiana impone un passaggio fondamentale per la maggior parte delle prestazioni sanitarie di una certa complessità: l’autorizzazione preventiva. Ottenere il via libera dalla propria ASL prima di partire è un requisito quasi sempre indispensabile per avere la certezza del rimborso. L’articolo 9 del Decreto Legislativo n. 38/2014 elenca chiaramente i casi in cui questa autorizzazione è obbligatoria, e riguardano:

  • l’assistenza sanitaria che comporta il ricovero ospedaliero del paziente per almeno una notte;
  • le cure che richiedono l’utilizzo di infrastrutture o apparecchiature mediche altamente specializzate e costose;
  • i trattamenti che comportano un rischio particolare per il paziente o per la popolazione;
  • le prestazioni fornite da una struttura sanitaria che potrebbe suscitare gravi preoccupazioni sulla qualità o la sicurezza dell’assistenza.

In pratica, per qualsiasi intervento chirurgico, ricovero o terapia di alta specializzazione, è necessario seguire la procedura autorizzativa.

Come si chiede e ottiene l’autorizzazione dall’ASL?

La procedura per ottenere l’autorizzazione preventiva è un iter ben definito che coinvolge diversi attori. Il primo passo spetta al paziente, che deve presentare un’istanza formale alla propria ASL di residenza. La domanda non può essere generica, ma deve essere accompagnata da una proposta motivata di un medico specialista, sia pubblico che privato convenzionato, che attesti la necessità della cura e indichi la struttura estera prescelta (Tribunale Ordinario Civitavecchia, sez. LA, sentenza n. 638/2017).

Una volta ricevuta la domanda, l’ASL non decide autonomamente, ma la trasmette al Centro di Riferimento Regionale (CRR) competente per quella specifica patologia. È questo organo tecnico, composto da esperti, che ha il compito di valutare nel merito la richiesta e di esprimere un parere vincolante. Se il parere del CRR è favorevole, l’ASL è tenuta a rilasciare l’autorizzazione. In caso di diniego, il provvedimento deve essere sempre accompagnato da una motivazione chiara e dettagliata.

Con quali criteri viene decisa l’autorizzazione?

Il fulcro della valutazione da parte del Centro di Riferimento Regionale è stabilire se la prestazione sanitaria richiesta all’estero non possa essere fornita in Italia in modo tempestivo e adeguato alla particolarità del caso clinico. Su questo punto, la giurisprudenza è intervenuta più volte per tutelare i pazienti da dinieghi generici o superficiali. Un “no” non può basarsi su un’affermazione vaga come “la terapia è praticabile in Italia”.

L’amministrazione sanitaria ha l’onere di condurre un’istruttoria approfondita, indicando al paziente quali siano le strutture nazionali specifiche in grado di fornire una prestazione adeguata e, soprattutto, informandosi sui reali tempi di attesa (TAR Puglia – Bari num. 1935 del 2009). La valutazione di “adeguatezza” deve essere puntuale: non si può contrapporre una “terapia estensiva” generica a un trattamento riabilitativo altamente specializzato richiesto dal paziente (Tribunale Ordinario Roma, sez. LV, sentenza n. 9866/2017). Infine, il diritto alla salute include non solo la guarigione, ma anche il miglioramento della qualità della vita, un aspetto determinante soprattutto per le patologie croniche.

Posso ottenere un rimborso senza autorizzazione?

La legge prevede una via d’uscita per quelle situazioni drammatiche in cui non è materialmente possibile seguire l’iter burocratico: è il caso delle prestazioni di “comprovata eccezionale gravità ed urgenza”. Se un paziente si trova in una condizione di salute talmente critica da non poter attendere i tempi dell’autorizzazione, può recarsi all’estero, sostenere le spese e chiedere il rimborso al suo rientro (art. 7 del D.M. 3 novembre 1989).

In questo scenario, la valutazione sull’urgenza e sulla gravità viene fatta a posteriori dal Centro di Riferimento Regionale. L’onere di dimostrare che era impossibile attendere ricade interamente sul paziente. Non basta un semplice consiglio medico a partire: deve emergere una situazione che imponeva un intervento immediato per salvaguardare la vita o la salute (Tribunale Ordinario Civitavecchia, sez. LA, sentenza n. 638/2017). Se si riesce a provare che le cure non erano disponibili o adeguate in Italia e che la situazione era così grave da non permettere attese, il diritto alla salute, tutelato dall’articolo 32 della Costituzione, prevale, giustificando il rimborso.

Entro quanto tempo va chiesto il rimborso?

Una volta sostenute le spese mediche all’estero, sia con autorizzazione che nei casi di urgenza, scatta un termine perentorio per presentare la domanda di rimborso all’ASL. La legge prevede un termine di tre mesidalla data in cui è stata effettuata la spesa. Il mancato rispetto di questa scadenza comporta la decadenza dal diritto, ovvero la perdita definitiva della possibilità di essere rimborsati (Tribunale Ordinario Milano, sez. 1, sentenza n. 6434/2014).

Tuttavia, la giurisprudenza ha introdotto un importante principio di equità, noto come “inesigibilità della condotta”. In un caso recente, i giudici hanno stabilito che, prima di dichiarare la decadenza, l’amministrazione deve valutare se le condizioni fisiche e psicologiche del paziente, magari provato da una grave patologia oncologica, rendessero di fatto impossibile rispettare quel termine di tre mesi. Se la condotta richiesta (presentare la domanda) non era “esigibile” a causa delle condizioni del malato, la scadenza può essere superata (SENTENZA del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Roma num. 13917 del 2023).