Non c’è però solo il fallimento intimo, quello fisico, materno, che tanto è stato raccontato dalle scrittrici. C’è soprattutto, come detto, quello professionale, che forse oggi è il più difficile da raccontare. Così attenti alle vite altrui e ai piccoli successi accuratamente selezionati da mostrare sui social per ricamare una versione di noi stessi molto lontana da quella reale, il fallimento – che esiste, anche se la retorica comune vorrebbe altrimenti – è un serpente arrotolato sul fondo dello stomaco, che morde non appena si resta da soli. In questo senso il coraggio di Barzini è affrontarlo, soffermandosi sulla gioia arrogante che precede la vittoria apparentemente dietro l’angolo, sullo stato di negazione che prelude a un finale che faremmo di tutto pur di schivare. Dopo il fallimento non c’è granché: non una rivincita, non una ribalta, non un insegnamento fondamentale che rende migliori. C’è, nel caso di Barzini, questo curioso libro profondo e dal passo deliziosamente dondolante, che senza alcuna superbia riesce a raccontare qualcosa di molto più grande di sé.