Il 12 settembre 2015 Flavia Pennetta raggiungeva il punto più alto della sua carriera tennistica superando nella finale tutta italiana del singolare femminile dello US Open la connazionale Roberta Vinci. A fine partita arrivava l’annuncio del ritiro dall’attività agonistica al termine della stagione.

A dieci anni dallo storico risultato la Pennetta si è raccontata in un’interessante intervista a 360° concessa alla Gazzetta dello Sport. Tra i temi toccati anche la concreta possibilità che suo marito Fabio Fognini, ritiratosi al termine del match con Alcaraz a Wimbledon, possa intraprendere la carriera da allenatore.

L’emozione di rimettere piede sull’Arthur Ashe Court: “È stato molto emozionante. Tornare su quel campo, anche se vuoto, mi ha trasportata indietro nel tempo, come se stessi giocando di nuovo la finale. Ho rivissuto l’intera partita, ed è stato meraviglioso, emozionante. Questa volta, però, ho avuto anche il tempo di vedere New York in modo diverso: quando sei lì per il torneo, sei così concentrata che non noti davvero la città che ti circonda. Questa volta, invece, mi sono lasciata avvolgere“.

L’incapacità di rivivere il ricordo di una serata trionfale: “A volte succedeva, ma le immagini si fermavano sempre al momento in cui piangevo prima di scendere in campo. Il momento della vittoria, invece, non l’ho mai rivissuto. Penso che sia stato un sogno che si è avverato; quindi, non ho avuto bisogno di riviverlo. Sai, i sogni nascono dai desideri, e quando li realizzi…”

Sulla difficoltà nel tornare a guardare il tennis: “All’inizio non mi piaceva guardare il tennis. Seguivo solo Fabio, ma non avevo voglia di guardare un’intera partita per puro piacere. Ora sì: mi piace seguirlo, analizzarlo, capirlo. È un approccio diverso, che ho imparato ad apprezzare col tempo. A New York ho visto tutte le partite degli italiani“.

Sul futuro di Fabio Fognini: “Mi piace giocare ogni tanto, dare qualche consiglio, ma non mi vedo come un allenatore a tempo pieno. È così che ho trovato il mio equilibrio. A Fabio piacerebbe, ma credo che abbia ancora bisogno di un po’ di tempo per staccare e capire se vuole davvero intraprendere questo percorso come allenatore. Non è facile; prima devi “uccidere” il tuo io da giocatore e poi rinascere come allenatore: la dinamica cambia completamente”.