Roma, 15 settembre – La Conferenza Stato-Regioni ha approvato lo scorso 9 settembre le Linee di indirizzo per l’operatività delle Case di comunità (Cdc), snodo fondamentale – nelle intenzioni – della riorganizzazione e dello sviluppo della sanità di prossimità, dove rappresenteranno il punto di incontro e integrazione per le unità complesse di cure primarie, le aggregazioni funzionali dei mmg, gli ospedali di comunità, le centrali operative territoriali (Cot) e le farmacie.
Una sorta di hub, insomma, dove troveranno capienza e troveranno il necessario coordinamento, spiega il documento approvato dalla Stato-Regioni, “sia i servizi erogati direttamente dal servizio sanitario sia quelli erogati da altri attori come Enti Locali, farmacie dei servizi e di Comunità, reti sociali e di volontariato appartenenti al Terzo settore».
L’obiettivo dichiarato è è quello di alleggerire gli ospedali da codici bianchi che possono essere agevolmente gestiti da strutture attrezzate sul territorio, garantendo la continuità assistenziale sempre e senza soluzione di continuità, ogni giorno, feriale e festivo, di giorno e di notte. Fondamentale, al riguardo, la “rivoluzione” del rapporto professionale con i medici: tutti i professionisti che entreranno nel Sistema sanitario nazionale dal 2025 in poi oltre all’obbligo di farsi carico dei propri assistiti, dovranno lavorare con prestazioni orarie, assegnate dall’Azienda sanitaria di riferimento, nelle Case di Comunità, collegate a ospedali e ambulatori. Il nuovo modello operativo segna anche il superamento del vecchio concetto di guardia medica, di fatto sostituito dal nuovo sistema di assistenza territoriale h24.
Toccherà ora alle Regioni stesse rendere operative le linee di indirizzo approvate il 9 settembre, cominciando subito a fare i conti con una grave criticità, le conseguenze della carenza di personale, in particolare la difficoltà di reperire nuovi medici tra i giovani per dotare le Cdc di organici sufficienti a rispondere alla domanda di assistenza di cure primarie dei cittadini.
Le linee operative delle Cdc in pillole
Nelle Cdc il modello hub and spoke identifica una struttura hub come il centro di riferimento per i servizi sanitari più complessi e per la continuità assistenziale, con la presenza medica assicurata H24 sette giorni su sette. Le strutture spoke sono dei punti di assistenza primaria più piccoli e diffusi sul territorio, che offrono servizi di base e fungono da punto di contatto tra il cittadino e il sistema sanitario, collegandosi agli hub per i casi più complessi. I medici saranno presenti H24 sette giorni su sette negli hub, mentre negli spoke 12 ore al giorno sei giorni su sette.
Le attività orarie vanno dalle visite ambulatoriali per bisogni non differibili alla gestione della cronicità e della fragilità in equipe. Poi interventi di sanità pubblica e promozione della salute, un primo livello di controlli diagnostici, e ancora assistenza a turisti, studenti fuori sede, cittadini non residenti. Le strutture saranno dotate di Ecg, ecografi, strumenti per esami rapidi, accesso alle banche dati cliniche e dispositivi per tele-consulto e telemedicina.
Un ruolo chiave viene attribuito anche alla presa in carico dei pazienti cronici e fragili, in collaborazione con infermieri e specialisti. Previsto anche l’impegno in attività di prevenzione e educazione sanitaria: campagne vaccinali, promozione di stili di vita sani, interventi su gruppi a rischio, anche attraverso la stratificazione della popolazione per bisogni e la medicina d’iniziativa
Sarà l’azienda sanitaria ad assegnare ai medici del ruolo unico le sedi di attività a prestazione oraria nelle Cdc così come i turni di servizio. Anche per le cure pediatriche è prevista la continuità assistenziale: le prestazioni nelle fasce orarie notturne, di sabato e nei festivi, sono organizzate sempre dall’azienda sanitaria tenendo conto del coordinamento dell’orario di apertura degli studi dei medici e dei pediatri di libera scelta, ma anche delle caratteristiche demografiche e della geografia del territorio
Le sedi della continuità assistenziale (ex guardia medica) d’ora in poi verranno integrate nella Cdc per i bisogni di cura non “differibili”, garantendo l’assistenza H24 in collegamento con la Centrale operativa territoriale, la Centrale operativa 116117 e la centrale 112-numero unico emergenze. Nelle Cdc per le persone che accedano spontaneamente o inviate dal numero d’emergenza 116117 o anche da medici del ruolo unico e pediatri di famiglia, l’attività dei medici viene svolta “per bisogni non differibili”
Attenzione, però: nelle Cdc non tutte le casistiche saranno accolte: tra i criteri di esclusione elencati nelle Linee guida, i casi di dolore toracico, cefalea intensa e inusuale, politrauma, deficit neurologico acuto e perdita di conoscenza. Poi ci sono le attività di sanità pubblica e di promozione della salute, attraverso medicina d’iniziativa e analizzando la stratificazione della popolazione per intensità dei bisogni su programmazione aziendale e regionale. Attività mirate a diffondere la prevenzione così da “ridurre la domanda assistenziale e il carico di malattia nella popolazione”.
Schillaci: “Essenziale che i medici lavorino nelle Cdc, senza il loro ausilio impossibile avviare la riforma della medicina territoriale”
Proprio nell’immediata vigilia dell’approvazione delle Linee guida, il ministro della Salute Orazio Schillaci (nella foto) aveva pubblicamente ribadito la sua posizione, intervenendo a una trasmissione televisiva: “Non possiamo pensare di avviare la medicina territoriale senza il supporto e l’ausilio dei medici di medicina generale. Per questo dovranno trascorrere una parte del loro orario anche all’interno delle Case di comunità”.
L’annuncio del ministro segna un passaggio-chiave nella riforma della medicina di base, in particolare per quanto concerne il grave problema (che sembra ormai cronicizzarsi) della carenza di camici bianchi. “La professione del medico di famiglia ha registrato un calo nelle scelte dei giovani” ha detto al riguardo Schillaci. “Per renderla più attrattiva stiamo lavorando a una specializzazione universitaria, come già avviene per le altre branche della medicina”.