di
Emi Bondi e Giancarlo Cerveri*
Continua il dibattito dopo l’inchiesta di Buone Notizie sui trattamenti senza consenso (Tso) per la malattie psichiatriche: tutela della salute o limitazione della libertà? «Per dare dignità alle persone dobbiamo prenderci cura di loro». La Legge Basaglia e la sentenza della Consulta sul ruolo dei giudici. (*Presidenti Coordinamento nazionale servizi psichiatrici di diagnosi e cura)
In merito al pregevole articolo pubblicato il 19 agosto scorso da Buone Notizie sullo spinoso tema dei Trattamenti senza consenso in psichiatria ringraziamo la giornalista Chiara Daina per la sensibilità mostrata e il dottor Fabrizio Starace per l’intervento corretto sulla necessità di un osservatorio nazionale per il monitoraggio del fenomeno. Vorremmo però aggiungere alcune considerazioni.
È un tema che abbiamo definito spinoso. Nell’articolo si fa riferimento a una sentenza della Consulta che ha giudicato incostituzionale la Legge Basaglia del 1978 nella parte in cui non prevede che chi è privato della libertà abbia la possibilità di interloquire con un giudice: di fatto equiparando il Tso a qualunque procedura di riduzione della libertà individuale e assimilando un atto sanitario chiamato Trattamento sanitario obbligatorio alla limitazione della libertà per un supposto atto antigiuridico. Cioè proprio ciò che si voleva eliminare con la legge Basaglia: nell’intento del legislatore gli interventi psichiatrici dovevano essere di «cura» in opposizione a quanto avveniva prima, quando l’internamento in manicomio era invece un atto giuridico.
La sentenza scatena non poche perplessità su un argomento che non trova mai un equilibrio. Da quando la Legge Basaglia è divenuto l’atto normativo che regola il trattamento delle malattie psichiatriche in Italia si sono succedute infinite proposte di modifica in senso «restrittivo» o «libertario», in una dialettica senza fine tra il rischio di un abuso di potere della società sull’individuo e l’abbandono dell’incapace al suo destino.
E così nel tentativo di garantire la dignità della persona costretta all’intervento si creano catene di controlli abnormi, sempre più lunghe. C’era prima un medico che proponeva, un altro che convalidava, un sindaco che disponeva, un giudice che controllava la correttezza. Ora si pretende che il giudice parli con l’ammalato e garantisca non solo la correttezza formale ma anche che nessuno della catena precedente abbia abusato del suo potere.
Soluzione giusta? Riteniamo di no. Riteniamo che questa strada porti diritta al dito che il saggio utilizza per indicare la luna.
La dignità degli ultimi, dei più deboli della nostra società, non si misura sulla bellezza dei principi ma sul materiale rispetto dei loro diritti. Non si può pensare di rispettare la dignità delle persone che vanno incontro a trattamenti di questo genere con parole, dichiarazioni, provvedimenti. La dignità si misura con luoghi di cura adeguati, spazi confortevoli, personale preparato e adeguato in termini di numeri, servizi territoriali funzionati che garantiscano la continuità dei percorsi di cura ed evitare nuovi episodi acuti. In sintesi, se vogliamo garantire dignità alle persone dobbiamo prenderci cura di loro in modo adeguato.
Ma di questo non si parla mai. Il fatto che la maggior parte dei Tso si trasformi in ricovero volontario è frutto della costante tensione di infermieri e medici rivolta all’acquisizione di un consenso alle cure: perché un vero trattamento psichiatrico si fonda sul libero convincimento a curarsi.
Il passaggio ulteriore è che il numeri delle persone che accedono ai servizi di Pronto Soccorso dalla pandemia in poi è esploso. E magari le disponibilità di risorse fosse rimasta stabile: i posti letto per acuti sono addirittura diminuiti. Molti Spdc (Servizi psichiatrici di diagnosi e cura) hanno chiuso per mancanza di personale, con psichiatri e infermieri sempre più difficili da trovare perché il reparto psichiatria è percepito come luogo di lavoro sempre più faticoso e pericoloso.
Abbiamo il più basso numero di posti letto per acuzie psichiatriche in Europa (dati Eurostat) e la sensazione è che il tema non sia interessante per la politica che fatica a investire su un’area così complicata e controversa.
In questo le difficoltà dei servizi per le acuzie in psichiatria assomigliano molto a quella delle carceri: una sorta di cono d’ombra sottofinanziato in termini di spazi e risorse, sostenuto da uno sforzo eroico di migliaia di operatori (infermieri e medici da una parte e agenti penitenziari dall’altra).
E qui tocca citare Bertold Brecth che parlando proprio del nostro Paese (in un’altra epoca) costruì quella potentissima frase: «Sventurata quella terra che ha bisogno di eroi». Anche perché prima o poi gli eroi si stancano di combattere per un Paese che non li ama.
*Presidenti Coordinamento
nazionale servizi psichiatrici
di diagnosi e cura
8 settembre 2025
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