di
Federico Fubini

L’uso di sistemi autonomi – senza pilota umano a distanza – migliora del 30% la precisione degli attacchi. L’Ucraina possiede una banca dati di milioni di video di combattimento con i droni. La dipendenza dalle componenti cinesi

(Questo articolo è tratto dalla newsletter Whetever it takes di Federico Fubini, se vuoi iscriverti clicca qui)

Lo so che un giornalista non deve parlare di sé, solo di quello che accade. Ma sono tornato ieri sera dal mio ultimo viaggio in Ucraina e ho ripreso contatto con alcuni dei produttori di droni che avevo conosciuto in una mia visita precedente, nel 2024. Uno aveva inventato un mezzo terrestre chiamato Termit, un piccolo cingolato con guida a distanza anche di centinaia di metri che recupera i feriti al fronte, mina e smina, assicura la logistica e funziona da postazione di artiglieria mobile. L’altro produttore faceva droni aerei appena più grandi dell’ordinario, di nascosto, nella sede della multinazionale che lui gestisce per l’Ucraina.



















































Non è cambiato nulla

Nel ritrovarli quattordici mesi dopo sapevo che non era cambiato nulla, perché si combatte ancora. Eppure è cambiato tutto. Ogni mese gli ucraini presentano al fronte altre innovazioni dopo che i russi hanno preso le contromisure o copiato e adattato le precedenti; e gli ucraini stessi copiano le migliori trovate ingegneristiche dei russi. Di certo innovano più di quanto abbia fatto qualunque altro Paese in Europa da decenni, perché devono sopravvivere contro un nemico molto più numeroso ed armato. Vladimir Putin ha scatenato una guerra arcaica, ma ora essa sta trasformando le tecnologie e gli stessi sistemi di governo delle emergenze in un modo che inevitabilmente ci riguarda. 

L’ondata di invenzioni

Quel che accade in Ucraina in questi anni presto sarà studiato non solo nei dipartimenti di storia o di geopolitica, ma nelle migliori business school del mondo: inclusa l’applicazione, ormai in corso, dell’intelligenza artificiale agli sciami di mezzi aerei senza pilota. Le continue ondate di invenzioni, adattamenti, soluzioni fino a poco tempo fa impensabili ricordano quanto accadde durante la Prima guerra mondiale, che negli anni vide l’introduzione dell’uso degli aerei e dei tank. Soprattutto, fanno sì che questo conflitto non sia più quello di tre anni o anche solo dell’anno scorso. Noi per primi in Italia e in Europa non possiamo più fingere di non vedere, ora che stiamo per spendere decine o anche centinaia di miliardi di euro in sistemi di difesa molto più costosi e pesanti. Perché rischiano di nascere già obsoleti.

La nuova frontiera

Il produttore del Termit, una start-up di nome Tencore, nell’estate del 2024 aveva solo pochi modelli-pilota e cercava in Italia e in Europa un partner industriale per crescere; non lo ha trovato, perché le grandi aziende nazionali del continente devono aver giudicato il suo prodotto un trascurabile giocattolo. Però Termit ha trovato un finanziatore negli Stati Uniti (il fondo Mits Capital) e ora i suoi modelli si trovano ovunque sulla linea del fronte in Donbass. Ma la rivoluzione della robotica, di cui Termit fa parte, è uno dei fattori che sta contribuendo a trasformare il campo di battaglia. L’altro produttore di droni invece mi ha spiegato che non compra più scorte di componenti per oltre un mese, perché i modelli devono evolversi di continuo. Lui mi ha fatto vedere i più nuovi, irriconoscibili rispetto a un anno fa: per evitare le interferenze dei russi sulle frequenze radio, non volano più guidati attraverso un’antenna ma legati a un cavo a fibre ottiche di 25 chilometri arrotolato a un rocchetto.

Gli intercettori dei droni

A combattere con i droni oggi è solo il 25% delle unità dell’esercito di Kiev, al quale tuttavia si deve il 75% dei bersagli colpiti. Esiste anche progetto degli intercettori dei droni del nemico, partito in febbraio di quest’anno; la settimana scorsa quei nuovi mezzi senza pilota hanno abbattuto 76 Shahed russi. Considerate la differenza: quando mercoledì scorso diciannove droni russi sono entrati in territorio polacco, missili aerotrasportati della Nato dal costo di tre milioni l’uno hanno dato la caccia a quei piccoli oggetti volanti di Mosca e ne hanno abbattuti tre. Gli intercettori ucraini invece costano settemila euro a pezzo – ma scenderanno a duemila con l’aumento della produzione – e colpiscono decine di bersagli aerei russi ogni notte. Ad aiutarli sul tempismo e la precisione è una rete di sensori al suolo piantati su buona parte del territorio ucraino, per tracciare dal rumore i velivoli russi senza pilota che volano sotto ai radar.

Quelli a lunga gittata

Per i droni d’attacco a lunga gittata invece l’Ucraina ha stretto accordi con due società di localizzazione geospaziale da satellite – la finlandese Iceye e l’americana Planet – in modo individuare e fissare con precisione le coordinate dei bersagli in territorio russo. Responsabile di queste operazioni è la 69esima unità dell’esercito di Kiev, detta «unità geospaziale».

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I fattori del boom

Non so se esistano strutture simili in qualsiasi altro esercito europeo, ma tutto questo sta avvenendo in un Paese che fino a quattro anni fa si occupava soprattutto di riparare armi di era sovietica. Poi si sono sommati tre fattori che, con l’aggressione totale di Mosca, hanno cambiato tutto.

  1. Esisteva già una base di know-how: i droni erano molto usati in agricoltura, data l’enorme estensione delle coltivazioni in un Paese a bassa densità di popolazione.
  2. Una legge permette agli uomini ucraini di non andare sotto le armi, se possono dimostrare che contribuiscono alla difesa del Paese producendo qualcosa di unico. Quest’opzione ha spinto migliaia di laureati a lanciare start-up, sforzandosi di sviluppare innovazioni che potessero salvarli dalla prima linea. Fra i tre inventori del Termit c’è un giovane padre che desidera aiutare la propria patria, ma non a rischio della vita.
  3. Dopo due anni di guerra, una norma ha innescato la svolta definitiva: ogni brigata o unità di truppe speciali oggi dispone di un proprio budget che può spendere con i fornitori delle tecnologie che ritiene più adatte. 

Acquisti decentrati

Moltissimi ordini non passano più dal comando centrale dell’esercito o dal ministero della Difesa. Gli acquisti diventano così agili e decentrati, con cicli di consegne di tre mesi al massimo. I soldati comprano ciò che sembra loro più utile per sopravvivere, le aziende competono per qualità e prezzo e le due parti – militari e produttori – dialogano di continuo per individuare miglioramenti sulla base dell’esperienza. Non di rado dietro le prime linee si trovano montate stampanti in 3D per produrre componenti modificate. 

Il modello europeo

Siamo all’opposto del modello europeo (e italiano), in base al quale il governo genera enormi ordinativi di sistemi d’arma molto rigidi in consegna fra qualche anno: per gli ucraini è un metodo sovietico, fuori dal tempo, perché tra qualche anno le tecnologie saranno del tutto trasformate.
Così l’Ucraina è passata da zero droni prodotti nel 2021, a 2,2 milioni di droni nel 2024, 3,5 milioni quest’anno e ha una previsione fra sei e sette milioni il prossimo. Nel settore privato lavorano alla difesa ottocento imprese, più altre 2.500 start-up. Questa fioritura di business ha generato quattromila prodotti diversi nel Paese, con un modello di industria militare che è agli antipodi di quello di Mosca.

Il patto sino-russo

In Russia pochi enormi gruppi producono essenzialmente due soli modelli di droni su larghissima scala e quest’anno arriveranno probabilmente a dieci milioni di pezzi: tre volte più di quelli dell’Ucraina, che tuttavia riceve qualche ulteriore fornitura dalla Germania. I due nemici sono dunque ancora molto lontani dall’avere una parità di mezzi e l’esito del conflitto rimane assolutamente sul filo del rasoio, ma i due hanno anche strategie profondamente diverse. Kiev punta a ridurre al minimo la dipendenza dalle componenti cinesi dei droni, a costo di pagare di più certi pezzi. Il Cremlino invece ha ormai dovuto accettare la penetrazione della Cina nel proprio tessuto produttivo e l’accesso di Pechino all’intelligence sui mezzi ucraini, in cambio del sostegno di Xi Jinping a Vladimir Putin. 

Pechino ringrazia

«L’industria cinese si sta costruendo dentro l’industria russa», dice Oleksandr Kamyshin, consigliere di Volomydyr Zelensky per gli affari strategici e figura centrale in tutti i piani di riarmo ucraini. L’occasione per parlarne è arrivata in questi giorni all’incontro annuale della Yalta European Strategy a Kiev nei giorni scorsi. Ma proprio il ruolo di Pechino dovrebbe generare una reazione in Europa, ora che l’intelligenza artificiale sta per integrarsi completamente nei droni. Secondo Kamyshin l’uso di sistemi autonomi – senza pilota umano a distanza – migliora del 30% la precisione degli attacchi. Di certo l’Ucraina possiede ormai una banca dati di milioni di video di combattimento con i droni effettuati in questi anni, la «Universal Military Database». 

Essa è conservata in una località segreta, forse fuori dal Paese, perché ha una funzione strategica: solo su di essa si possono addestrare i sistemi di intelligenza artificiale da integrare nei droni per la prossima generazione di veicoli da guerra senza pilota.

La svolta della AI

Sta già avvenendo. A Kiev un fondo di venture capital, D3 di Eveline Buchatskiy, investe in un gruppo di aziende che spesso applicano l’intelligenza artificiale ai sistemi senza pilota e li rendono autonomi dall’intervento umano (fra queste Swarmer, FlightMind.AI e Ailand Systems). Uno degli investitori principali nel fondo D3 è Eric Schmidt, ex amministratore delegato di Google ed ex capo del Defense Innovation Advisory Board del Pentagono. Schmidt sta anche finanziando in Ucraina una propria start-up, Swift Beat, per l’applicazione dell’intelligenza artificiale ai droni da guerra.

Le due banche dati

Il problema è che al mondo esistono probabilmente solo due banche dati di milioni di video sulle quali sia possibile addestrare l’intelligenza artificiali per i nuovi sistemi d’arma: quella degli ucraini e quella che, con ogni probabilità, hanno accumulato i russi. Quest’ultima è senz’altro a disposizione della Cina, che affina così le proprie tecnologie di guerra e le migliora studiando i droni ucraini caduti nei territori controllati da Mosca.

Il ritardo europeo

Noi europei dormiamo. Con l’eccezione dei danesi e in parte dei britannici, non vediamo ciò che sta accadendo e come l’innovazione ucraina cambi tutto. I nostri costosissimi piani per tank, mezzi pesanti o aerei caccia saranno maturi tra anni e rischiano di nascere vecchi. Di rado le imprese e i manager italiani visitano Kiev per capire la rivoluzione che è in corso. Ha detto Eric Schmidt all’incontro della Yalta European Strategy sabato: «Gli europei stanno costruendo carri armati, ma sapete cosa? Nessuno li usa più in questo conflitto, perché non resisterebbero sul campo di battaglia. Il futuro della guerra sarà drone contro drone, in sistemi di difesa aerea automatici».

A scuola di Kiev

Il generale David Petraeus, ex comandante delle forze alleate in Iraq ed ex direttore della Cia, ha aggiunto: «Dovremmo andare tutti a scuola a Kiev. Non stiamo imparando abbastanza da quello che succede qui». E ancora: «L’equipaggiamento che produce l’Europa è totalmente ‘out of date’, oltre la data di scadenza e ‘out of touch’, privo di contatto rispetto alla realtà». Ma chissà che anche noi, prima o poi, lasciamo da parte i vecchi riflessi. E decidiamo di spendere per la difesa magari meno, ma meglio.

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15 settembre 2025 ( modifica il 15 settembre 2025 | 12:38)