di
Luigi Ippolito

Il promotore della manifestazione di protesta che ha raccolto 150 mila persone, domenica, a Londra, si fa chiamare Tommy Robinson, ma il suo vero nome è Stephen Yaxley-Lennon. Ha 42 anni, diversi precedenti in carcere, «spaventa» persino Farage ma si è guadagnato il sostegno di Musk (che ha fatto infuriare Londra)

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE 
LONDRA – Non usa neppure il suo vero nome, il leader di fatto dell’estrema destra britannica che sabato è riuscito a convogliare in piazza a Londra 150 mila persone al grido di «Uniamo il Regno», tra uno sventolio di Union Jack e croci inglesi di San Giorgio: si fa chiamare da tutti Tommy Robinson, ma all’anagrafe risulta Stephen Yaxley-Lennon. Madre irlandese e padre inglese, 42 anni, solide origini working class bianche, Stephen adottò come nome di battaglia quello di un famigerato hooligan calcistico per proteggersi, a detta sua, da ritorsioni a causa del suo attivismo politico.

Perché fin da giovane Tommy Robinson ha militato nelle formazioni neofasciste britanniche: prima nel British National Party e poi nella English Defense League, da lui fondata. Il filo conduttore è sempre stato una violenta ostilità all’islam e all’immigrazione, che gli è valsa accuse di razzismo e xenofobia.



















































Ma Robinson è anche un avanzo di galera, dove è finito per ben cinque volte, condannato per vari reati che vanno dall’assalto fisico alla truffa bancaria, dalla diffamazione all’oltraggio a un tribunale. La scorsa estate, appena uscito di prigione, aveva fatto parlare di sé per aver aizzato, dal bordo di una piscina di un hotel di Cipro, i disordini razziali che avevano sconvolto l’Inghilterra in seguito all’uccisione di tre bambine da parte di un terrorista di origine ruandese.

Robinson è una figura idolatrata dai suoi seguaci e disprezzata dai suoi avversari, ma da sabato non si potrà più non tenerne conto. Perfino il primo ministro Keir Starmer ieri si è sentito in dovere di intervenire, dicendo che «la nostra bandiera rappresenta il nostro diversificato Paese e non la cederemo mai a quelli che la usano come simbolo di violenza, paura e divisione».

Questo perché nelle ultime settimane, dopo proteste anti immigrati scoppiate durante l’estate, è partita una campagna per issare le bandiere nazionali in tutta l’Inghilterra a rivendicazione della propria identità ma anche, a detta dei critici, come segnale di ostilità agli «altri».

Eppure, ieri uno stesso ministro del governo Starmer ha ammesso che la manifestazione indetta da Robinson è stata uno «squillo di clacson» per affrontare le grandi preoccupazioni della gente: e «l’immigrazione è una grande preoccupazione». Il ministro ha addirittura riconosciuto che «ci sono figure come Tommy Robinson che sono in grado di connettersi con un senso di inquietudine e risentimento nella società».

Perché è vero che questa estate qualcosa si è rotto nell’opinione pubblica britannica riguardo all’immigrazione: il tappo è saltato e quello che ieri era impensabile è diventato oggi mainstream

Eppure, perfino uno come il tribuno della destra populista Nigel Farage ci tiene a marcare la distanza con Tommy Robinson, proponendosi quasi come una «diga democratica» di fronte alla destra estrema, che in questi giorni è stata galvanizzata in tutto il mondo dall’uccisione di Charlie Kirk: dall’Afd in Germania a un candidato alle presidenziali cilene, dai seguaci di Viktor Orbán in Ungheria ai gruppi evangelici sudcoreani, in tanti hanno salutato l’influencer Maga come il martire di una causa globale. E così Elon Musk, che aveva riammesso Tommy Robinson su Twitter, si è collegato alla manifestazione di Londra per denunciare la sinistra come «il partito dell’omicidio», incitando a «combattere o morire». Parole che il governo di Londra ha definito «incendiarie». Ma alle quali ha fatto eco il presidente argentino Javier Milei, che ha definito l’omicidio di Kirk come «ulteriore prova evidente di cosa sia davvero la sinistra: odio e risentimento».

15 settembre 2025 ( modifica il 15 settembre 2025 | 14:25)