In teoria, può colpire chiunque. Ma è certamente più frequente, ovviamente in senso relativo, tra le persone che hanno subito un recente ricovero o intervento chirurgico, i pazienti immunocompromessi o chi presenta diverse malattie, gli anziani e i bambini al di sotto dell’anno di età.

Il nome di questo nemico, che deriva direttamente da un’infezione è sepsi. Si tratta di una condizione particolarmente insidiosa. Nasce da una infezione, ma può evolvere in modo rapido e grave, fino a determinare insufficienze d’organo, shock settico e avere un decorso fatale. Nel mondo colpisce fino a 50 milioni di persone all’anno e causa globalmente circa 11 milioni di decessi. Purtroppo, a volte può risultare fatale: In Italia la mortalità rimane elevata, con tassi stimati tra il 25% e il 40%. Lo hanno ricordato gli esperti in occasione della Giornata mondiale della Sepsi del 13 settembre.

Come si sviluppa e si presenta la sepsi

La sepsi si verifica quando l’organismo mette in atto una risposta infiammatoria alterata nei confronti di un’infezione. Può può portare in poche ore a insufficienza acuta di più organi. Questo accade quando la reazione immunitaria diventa sproporzionata, provocando danni ai tessuti e agli organi anziché mettere in atto una risposta limitata a combattere l’infezione.

Sono numerose le infezioni batteriche, virali o fungine che possono evolvere in sepsi; ad esempio, quelle alle vie respiratorie – come influenza o Covid 19 – o alle vie urinarie. La sepsi riguarda non solo i pazienti ospedalizzati – soggetti alle infezioni correlate all’assistenza sanitaria – ma può colpire anche fuori dal contesto ospedaliero.

“Febbre alta, respirazione accelerata con violenti brividi e uno stato di confusione sono sintomi che dovrebbero far scattare il sospetto di diagnosi di sepsi. Ma se questi segnali non vengono interpretati correttamente, la finestra di tempo per intervenire si restringe drasticamente – segnala Massimo Girardis, professore Ordinario di Anestesia e Terapia Intensiva presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia e Direttore del Dipartimento di Anestesia e Terapia Intensiva del Policlinico Universitario di Modena. La formazione del personale sanitario e la consapevolezza dei cittadini sono parti essenziali di una strategia efficace contro la sepsi. Sapere cosa cercare può salvare vite”.

L’importanza del fattore tempo

Se non trattata tempestivamente, la sepsi può degenerare in shock settico, l’evoluzione clinica più temibile nonché principale causa di decesso tra i pazienti ricoverati nelle unità di Terapia Intensiva. Lo shock settico si verifica quando l’infezione innesca alterazioni cellulari, metaboliche ed emodinamiche tali per cui la pressione media arteriosa è al di sotto del valore soglia per garantire la sopravvivenza.

Secondo studi clinici recenti, la mortalità associata allo shock settico può superare il 40% e raggiungere picchi ancora più elevati – fino all’80-90% – nei pazienti refrattari al trattamento con vasopressori, farmaci somministrati per ripristinare e stabilizzare la pressione media arteriosa.

Un recente studio condotto in Italia ha inoltre mostrato come, nelle forme più gravi, il decesso possa avvenire in quasi un caso su due, rendendo la sepsi non solo una priorità clinica ma anche un’emergenza di salute pubblica.

“La sepsi e lo shock settico restano tra le principali cause di mortalità nella popolazione – prosegue Girardis. Tuttavia, grazie a un approccio sempre più mirato, che mette in atto tempestività terapeutica, supporto emodinamico personalizzato e gestione delle problematiche cardiache che ne derivano, è possibile migliorare significativamente l’esito per il paziente critico. In questo contesto è importante l’intervento di un’équipe: medici, infermieri, famacisti, personale tecnico di supporto devono collaborare per attuare protocolli integrati in tempi brevissimi”.

Insomma: la sepsi e lo shock settico rappresentano sindromi cliniche di complessa gestione e trattamento. Per questo motivo la comunità clinico-scientifica, a livello nazionale e internazionale, continua a impegnarsi per affinare gli strumenti di diagnosi e ottimizzare l’approccio terapeutico. “I fattori chiave per incidere in modo significativo sull’evoluzione clinica e prognosi sono legati alla tempestività – sia nella diagnosi sia nell’avvio dell’intervento – con terapia antibiotica e fluidica – conclude l’esperto Altro fattore chiave è la personalizzazione del trattamento in base alle condizioni cliniche del singolo paziente”.

Le indicazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a scopo informativo e divulgativo e non intendono in alcun modo sostituire la consulenza medica con figure professionali specializzate. Si raccomanda quindi di rivolgersi al proprio medico curante prima di mettere in pratica qualsiasi indicazione riportata e/o per la prescrizione di terapie personalizzate.