di
Gianni Santucci

Il dj dello storico locale chiuso a giugno: «La selezione all’ingresso ci consentiva di scegliere il pubblico giusto affinché nessuno si sentisse giudicato. Il divertimento è cultura, ora andiamo verso città dove nessuno si deve divertire»

«È una settimana che ricevo messaggi di cordoglio». Come ogni perdita. «Stiamo elaborando il lutto». Con la malinconia. Col sorriso. «La vita invecchia e finisce». Mood filosofico: «Le cose che non finiscono non possono essere rimpiante».
Una birra e una sigaretta. Bar in Porta Venezia. Tardo pomeriggio di giovedì scorso. Aria tiepida di fine estate. Arriverà l’autunno: e per Milano (dal 1980) sarà il primo autunno senza Plastic. Al sole calante d’un giorno di settembre, La Stryxia racconta stagioni e tramonto del locale più iconico avanguardista della città. Nella vita è Graziano; per lavoro, dal 1999, è La Stryxia: dj della sala e della serata «House of bordello», poi «Al varietà». Musica italiana anni Ottanta. Partiamo da qui. Perché fu una scelta ardita. Roba che solo al Plastic. «Gli Anni ‘90 avevano rimosso la musica del decennio prima».

Oggi uno spruzzo d’Anni ‘80 non si nega a nessuno.
«All’epoca era un’innovazione assoluta. Nel 2000 il vintage italiano era totalmente dimenticato. Non interessava a nessuno. Figuriamoci suonarlo in discoteca».



















































L’ha sdoganato lei?
«Sergio Tavelli (storico dj del Plastic, con il fondatore e anima musicale Nicola Guiducci, ndr) era appassionato di Anni ‘80. Io ero interessato. Ebbi una folgorazione estetica e musicale».

Come reagì il pubblico?
«Maledetta primavera di Loretta Goggi l’abbiamo riscoperta al Plastic. Diventò sigla finale della mia serata. Oggi la usano per il finale moltissime discoteche. Ogni tanto qualcuno mi manda un filmato, l’ultimo dal Cairo. La gente la cantava dalle finestre durante la pandemia. Anche questa è cultura».

Come si è costruito il mito del Plastic?
«Perché il pubblico si divertiva. Sempre. E tanto. Questa è la verità. Divertirsi più che bere, più che rimorchiare. Quanti locali sono stracolmi di gente ma senza energia? Folle che prendono drink, si guardano intorno, aprono il cellulare… Al Plastic no. Energia e magia circolavano potenti».

Perché, secondo lei?
«Da una parte, la tanto vituperata selezione. Qualcuno diceva: “Non mi piace star là fuori in coda a farmi giudicare”. Era l’opposto. Si selezionava il pubblico perché nessuno fosse giudicato».

Solo questo?
«Io da cliente andavo al Plastic anche da solo. Perché sapevo che avrei trovato amici. Un gruppone di clienti andava ogni sera. Un famiglia: questo è stato il Plastic per generazioni di frequentatori. Una casa. Era un fatto che si respirava. Lo sentiva anche chi veniva di rado, e chi veniva la prima volta. Lo sentivano le grandi star internazionali».

Ne sono passate tantissime. È noto. Qualche visita rimasta finora sconosciuta?
«Ricordo i Rem. Tranquilli, in mezzo alla gente. Come tutti. Ogni star, dai Depeche Mode a Loredana Berté, è entrata al Plastic vivendo la serata col pubblico. Senza separazione. Senza distanza. Guiducci mise Losing my religion. I Rem si alzarono e fecero un piccolo inchino di ringraziamento. Poi uno andò alla cassa e prese per tutti le magliette con scritto “This is Plastic”, e le indossarono».

Perché i locali notturni sono in crisi?
«Il Covid ha dato una mazzata, non c’è stato il minimo aiuto. In più, le generazioni nate coi cellulari in mano preferiscono lo scrolling al clubbing. Terzo: i club vengono tartassati di lamentele e reclami, che hanno sempre la meglio».

Da architetto, cosa pensa?
«Il divertimento è un pezzo della vita umana. Cosa erano le balere? Nelle baite della Valtellina, da dove vengo, a fine settimana la gente si riuniva a ballare intorno al fuoco con una fisarmonica. È cultura e antropologia. Cosa vogliamo costruire, città dove nessuno si deve divertire?».

Si creano tensioni nei quartieri.
«La butto là. Usiamo gli enormi spazi sotterranei di Atm o del passante. Hanno tutte le strutture di sicurezza e le uscite, non creerebbero fastidi all’esterno».

Come è cambiata in questi decenni la Milano dei diritti, in particolare Lgbt?
«Sono aumentati, più condivisi, un patrimonio più comune. E ne sono felice. Forse però c’è meno consapevolezza. Si condivide il messaggio, ma un po’ preconfezionato. Le drag queen sono di moda. Anni fa invece la nostra battaglia era per esistere».

Anche Stryxia è un personaggio femminile.
«Io faccio serate en travesti, che è molto diverso. Non mi vesto da donna tanto per, mi travesto da soubrette degli Anni ‘80. Come in teatro».


Vai a tutte le notizie di Milano

Iscriviti alla newsletter di Corriere Milano

15 settembre 2025 ( modifica il 15 settembre 2025 | 17:28)