Sajed, 11 anni, vive nel distretto di Sawkai, provincia di Kunar, in Afghanistan. Ha raccontato: “Eravamo una famiglia di 11 persone, mia madre e una delle mie sorelle sono morte durante il terremoto e ora siamo in 9. La nostra casa è distrutta e non abbiamo un posto in cui vivere”.

Laila, una bambina di 9 anni, ha perso suo fratello durante il terremoto. Dormiva quando il terremoto ha colpito il suo villaggio, Ghazi Abad, nel distretto di Nurgal, sempre nella provincia di Kunar.

Zekrullah, 17 anni, ha detto: «Era mezzanotte quando è arrivato il terremoto, è stato molto pericoloso. La nostra casa è completamente distrutta, non abbiamo un posto in cui vivere e niente da mangiare».

Queste sono solo alcune delle conseguenze del potente terremoto di magnitudo 6.0 che ha colpito le province afghane di Kunar e Nangarhar il 31 agosto e di numerose forti scosse di assestamento.

Come sempre in disastri di questo tipo, sono i bambini a sopportare il peso maggiore. I terremoti hanno causato circa 2.200 vittime e 3.500 feriti e parzialmente o completamente distrutto almeno 6.700 case. Almeno 1.172 bambini sono morti, rappresentando più della metà del bilancio totale delle vittime. Inoltre, 45 bambini sono stati separati dalle loro famiglie e 271 sono rimasti orfani. I sopravvissuti, molti dei quali vivono in regioni montuose remote e con accesso limitato, ora affrontano gravi rischi con l’avvicinarsi dell’inverno e l’abbassarsi delle temperature.

Complessivamente, sono più di mezzo milione le persone colpite, tra cui 263.000 bambini che ora si trovano ad affrontare rischi ancora maggiori. Per loro, questo disastro si aggiunge ad anni di conflitti, difficoltà economiche ed emergenze ricorrenti che hanno già privato molti di loro della loro infanzia. Molti sono stati costretti a crescere troppo in fretta.

Le regioni colpite sono tra le più remote dell’Afghanistan, con un terreno montuoso ripido, un accesso stradale limitato e norme culturali profondamente radicate che limitano la mobilità delle donne e delle ragazze. Ciò rende la fornitura di aiuti umanitari non solo difficile dal punto di vista logistico, ma anche socialmente delicata. In queste remote comunità montane, i bambini devono affrontare molteplici minacce, tra cui ferite non curate, acqua e servizi igienici insicuri, malnutrizione in peggioramento, interruzione della scolarizzazione e profondo disagio emotivo.

Molti sopravvissuti, compresi i bambini, si sono già stati trasferiti in insediamenti a valle, dove le organizzazioni umanitarie possono fornire in modo più efficace alloggi, cibo, acqua potabile e supporto psicosociale. Tuttavia, con l’inverno che si avvicina rapidamente, c’è un urgente bisogno di aumentare gli aiuti prima che le condizioni peggiorino.

Le ragazze, in particolare, sono esposte a rischi specifici. Quando le loro case vengono distrutte, spesso sono le prime ad abbandonare la scuola, in un Paese in cui il loro diritto all’istruzione incontra enormi ostacoli. Quando le famiglie perdono i propri mezzi di sussistenza, le ragazze corrono un rischio maggiore di essere costrette a sposarsi. E quando i servizi sanitari sono fuori dalla loro portata, le adolescenti rimangono prive delle cure essenziali. Se non agiamo subito, questa crisi aggraverà le disuguaglianze esistenti e imporrà loro oneri sproporzionati.

L’isolamento geografico, le infrastrutture limitate e le norme sociali profondamente conservatrici rendono questa una delle risposte di emergenza più complesse che abbiamo affrontato. Nonostante queste difficoltà, noi di Unicef e i nostri partner siamo intervenuti sul campo fin dal primo giorno, fornendo assistenza sanitaria, acqua potabile, sostegno psicosociale e beni di prima necessità ai bambini e alle famiglie in condizioni di urgente necessità.

Abbiamo lanciato un piano di risposta umanitaria per rispondere ai bisogni essenziali dei bambini e delle famiglie colpiti. Il piano, della durata di sei mesi, mira a raggiungere 400.000 persone, tra cui oltre 212.000 bambini, nei distretti più devastati come Chapadara, Nurgal e Chawkay. Stiamo dando priorità all’impiego di operatrici sanitarie e fornitrici di servizi sociali di sesso femminile per garantire un accesso sicuro ed equo alle donne e alle ragazze.

Stiamo fornendo assistenza sanitaria di emergenza attraverso cliniche potenziate e le nostre squadre mobili di assistenza sanitaria e nutrizionale che prestano cure traumatologiche. Stiamo anche offrendo servizi di assistenza materna e neonatale e medicinali essenziali. Inoltre, stiamo collaborando con gli operatori in prima linea nella lotta alla poliomielite per sostenere la risposta sul campo.

Continuiamo a ripristinare sistemi idrici sostenibili, installare punti di approvvigionamento idrico di emergenza e costruire servizi igienici per garantire alle famiglie acqua pulita e proteggerle da epidemie di diarrea acquosa acuta. La salute mentale dei bambini diventa molto fragile all’indomani di tali tragedie, quindi abbiamo creato spazi a misura di bambino e inviato consulenti donne nelle cliniche sanitarie per fornire sostegno psicosociale a ragazze e donne.

Stiamo lavorando alla protezione sociale, fornendo assistenza finanziaria di emergenza alle famiglie vulnerabili affinché possano soddisfare i bisogni urgenti e prepararsi all’inverno, che è molto rigido.