di
Greta Privitera

La distruzione sistematica di Gaza City: 50 torri e 1.800 case, più con le ruspe che con le bombe. Ma solo un quarto degli abitanti fugge

Tra le ultime c’è Burj al-Jafari, che si affaccia sulla costa. Arriva la comunicazione in arabo del portavoce dell’esercito: «A tutti coloro che non hanno ancora evacuato l’area del porto di Gaza e del quartiere Rimal, nei blocchi vicino alla torre segnata in rosso, all’incrocio tra via Jaber Bin Hayan e via Omar al-Mukhtar: l’Idf a breve colpirà a causa della presenza di infrastrutture terroristiche di Hamas. Per la vostra sicurezza vi esortiamo a spostarvi verso Sud nell’area umanitaria di al-Mawasi, a Khan Younis». 

Raid aerei e bulldozer, la distruzione di Gaza City

Qualche ora dopo — ma è successo anche minuti — bum, l’esplosione. Un missile colpisce la parte inferiore dell’edificio che si accartoccia su se stesso e scompare in una nuvola di fumo grigio. Tra le urla e lo sconforto della gente. Burj al-Jafari era casa per centinaia di persone. 



















































I numeri li dà il governo israeliano: dall’annuncio di Benjamin Netanyahu — «tra i nuovi obiettivi della guerra c’è la conquistata totale della città»sono state rase al suolo oltre 50 torri residenziali. La distruzione sistematica di Gaza City, partita a inizio agosto, avviene attraverso bombardamenti aerei e bulldozer che spostano terra e detriti, che demoliscono edifici, che livellano. I danni maggiori si contano nei quartieri di Zeitoun e Jabalya, ma si procede anche verso il centro, colpendo le zone residenziali come quella di Rimal. 

Secondo Cnn, studiando le immagini satellitari scattate tra il 9 agosto e il 5 settembre, si nota che la stragrande maggioranza della distruzione non è stata causata da attacchi aerei, ma dalle demolizioni dell’esercito israeliano. Edificio dopo edificio, escavatore dopo escavatore. Si legge che sarebbero stati distrutti circa 1.800 stabili in città e nei dintorni

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Il portavoce dell’esercito, il generale di brigata Efi Dufferin, qualche giorno fa ha dichiarato che Israele controlla il 40% del territorio di Gaza City. Controllare non significa però convincere i suoi abitanti ad andarsene a sud, nella cosidetta zona umanitaria di al-Mawasi, senza più un centimetro di terra disponibile per picchettare una tenda malandata. E così, nonostante le centinaia di carri armati schierati sul confine pronti a invadere e i continui ordini di evacuazione, solo 250mila persone hanno lasciato la città che ne ospitava un milione. 

Chi non parte è perché non può — ha un costo di circa mille dollari evacuare, e chi ce li ha mille dollari a Gaza? — o perché sceglie di non rimettersi in marcia. Per disperazione, per mancanza di futuro, per sfinimento: «Stanno mettendo in atto il loro progetto di pulizia etnica», dice Najeeb Kaddoumi che fa parte degli sfiniti. 

A guardarla dall’alto, dai satelliti, Gaza City oggi ricorda le sue città sorelle distrutte prima di lei, come Rafah, come Khan Younis. 

In due anni di guerra, secondo Hamas sono 64 mila le persone uccise dall’esercito di Netanyahu: una media di 1.500 morti al mese (numeri che l’Onu ritiene credibili). Dopo il 7 ottobre — dall’attacco terroristico del gruppo palestinese che ha ucciso 1.200 israeliani e ne ha rapiti 250 —, le Nazioni Unite hanno stimato che oltre il 70% di tutti gli edifici di Gaza è stato danneggiato. Tra questi, il 28% è stato completamente distrutto. Anche l’80% degli ospedali e delle cliniche è stato danneggiato o distrutto. Così come l’88% delle scuole. Un dato che ci ricorda che sono 23 mesi che i bambini di Gaza non possono studiare.

15 settembre 2025 ( modifica il 16 settembre 2025 | 08:26)