Per la verità c’è ancora. Ma sconta il forte appannamento, se non l’invisibilità, di molte delle istituzioni internazionali figlie di un ordine del Dopoguerra che ormai si è dissolto. 

Negli anni Settanta e Ottanta, le missioni del Fondo in Italia sollevavano forti discussioni tra le parti sociali. Se ne attendeva il giudizio (le famose lettere) come fosse una sentenza inappellabile per la nostra economia. Ogni parola veniva esaminata con febbrile acribia. I riflessi sull’incerta quotazione della lira erano scontati. Il senso di fragilità finanziaria percepibile in ogni momento della vita nazionale in un’Italia divisa dalle ideologie ma capace di risollevarsi di fronte alla minaccia del terrorismo. Il compromesso storico, tra Democrazia cristiana e Partito comunista, consentì di mettere in pratica molte delle raccomandazioni del Fondo.



















































Durante la crisi del 2011 – e c’era già la moneta unica – alcuni nostri partner europei avrebbero voluto farci commissariare dall’istituzione di Washington (parte della cosiddetta troika), ma ce la cavammo da soli grazie all’austerità del governo Monti. 

Oggi le raccomandazioni del Fondo lasciano il tempo che trovano. Un po’ perché la nostra situazione dei conti pubblici è in equilibrio, seppur precario. Lo spread è ai minimi dal 2010. La posizione finanziaria sull’estero, grazie all’andamento della bilancia dei pagamenti, è positiva. Negli anni bui del Novecento era l’opposto. Ma anche l’autorevolezza percepita del Fondo è venuta inevitabilmente meno

Tutte le istituzioni multilaterali, a cominciare dall’Onu, appaiono meno credibili, non sembrano più appartenere al nostro tempo. E questo è un guaio. Serio. In ogni caso le raccomandazioni odierne del capo missione per l’Italia del Fondo, sono da prendere sul serio. Lone Christiansen non diventerà mai famoso e temuto come i suoi predecessori del secolo scorso, ma la sua analisi della situazione economica italiana meriterebbe un ampio dibattito, che non ci sarà. Sia sugli aspetti positivi legati alla “resilienza” del nostro sistema economico, all’esistenza di un avanzo primario- ritenuto tuttavia ancora insufficiente – all’implementazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, giudicata addirittura “rigorosa” (troppo buono). Sia su quelli problematici. Il debito non scende come sarebbe necessario: il suo costo è superiore al tasso di crescita. La produttività ristagna, l’occupazione va bene ma non per i giovani e le donne. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, può ritenersi alla fine soddisfatto ma la flat tax per gli autonomi e le piccole imprese al Fondo monetario proprio non piace. Eliminatela. Ecco una “buona ragione” per lasciar correre le parole del capo missione per l’Italia. 

16 settembre 2025, 12:05 – modifica il 16 settembre 2025 | 12:11