“A 17 anni ho deciso di andare a vivere da solo, allora era possibile: ero in un appartamento di 120 metri quadrati in centro a Roma e spendevo 10mila lire. Io facevo il pittore, vendevo i miei quadri e incassavo circa 50-60mila lire, il rapporto stipendio e costo era questo; una cosa che non esisterà mai più”. Massimiliano Fuksas, anno di nascita 1944, racconta il percorso che lo porterà ad affermarsi tra i “grandi” dell’architettura contemporanea ospite del palco del Festival del Pensare Contemporaneo di Piacenza. 

“Tutto inizia quando nel 1950 muore mio padre: ho sei anni e sono pronto alla vita. Un grande dolore – spiega Fuksas – ma anche una salvezza; quello che poteva essere un trauma irreparabile è stato un punto di svolta. Mi toglie il senso del potere, simbolizzato dalla figura paterna e anche il complesso di Edipo; con la sua morte non c’è più competizione e mia madre era tutta per me. Parte della vita era già fatta”. 

“Mi diplomo – racconta Fuksas – “e adesso che fai?” mi chiede mia mamma. “Faccio il pittore” rispondo “vendo dei quadri, guadagno, magari darò qualche lezione per arrotondare”. Sento però che aleggia come un’ombra di fallimento. «A quale facoltà ti iscrivi?” mi chiede e io “filosofia”. “No filosofia no”. “Allora architettura” dico, ma non ne sapevo niente, volevo solo colpirla. E lei dice “sì va bene”. È un puro caso che l’abbia scelta”.  

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