Quattro mesi di carcere per lui, assoluzione per lei. Sono queste le richieste di pena del sostituto procuratore Giorgio Nicola per la coppia di ginecologi – padre e figlia – accusati a Torino di interruzione colposa di gravidanza. Li difendono gli avvocati Luigi Giorno, Franco Camerino e Antonio Gilestro. Erano stati denunciati da una loro paziente che, l’11 gennaio 2019, aveva perso i due gemelli di cui era incinta, concepiti con la procreazione medicalmente assistita. Ieri, 15 settembre, il tribunale di Torino ha ospitato la requisitoria del processo, che si avvia alle fasi finali. La sentenza è attesa in autunno. 

Amniocentesi, febbre, aborto e infezione 

A dicembre, raccontando la propria storia alla giudice Alessandra Danieli, la donna non era riuscita a trattenere le lacrime. “Conoscevo bene la mia ginecologa, visto che eravamo colleghe in università – spiegava assistita dal legale Fulvio Rosari – Volevo essere sicura che i miei figli non avessero problematiche genetiche e, per questo, mi sono sottoposta all’amniocentesi”. È una procedura invasiva, senza anestesia, che prevede il prelievo del liquido amniotico. Per farla, a Torino, si è rivolta al centro specializzato dove lavora il papà della sua dottoressa di riferimento, ginecologo anche lui.

Due giorni dopo le è salita la febbre, ma nessuno le ha prescritto un antibiotico. L’11 gennaio sono arrivati anche dei forti dolori addominali e le perdite diventano maggiori. La donna è tornata in ospedale e, a questo punto, è stata avvisata che il parto era già iniziato. I feti sono nati entrambi morti. Risultava un’infezione da stafilococco, che avrebbe contaminato la donna e compromesso la gravidanza.

La requisitoria in tribunale 

Durante il processo, sono stati ascoltati diversi tecnici e periti. Sulla base delle loro relazioni, l’accusa sostiene che ci sia una correlazione tra l’infezione e l’amniocentesi, che non sarebbe stata eseguita nel modo corretto dall’imputato per quanto riguarda le procedure igieniche. “Qualsiasi altra genesi per l’infezione è impossibile” motiva il sostituto procuratore. 

L’imputata, invece, è a processo perché non avrebbe somministrato in tempo un antibiotico alla donna. “È impossibile accertare un nesso causale tra questa azione e l’interruzione di gravidanza” aggiunge Nicola, chiedendo l’assoluzione.

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