di
Jacopo Storni
L’intervista dopo il blitz degli studenti durante la sua lezione di Diritto comparato: «Sul libro c’era una piccola bandierina americana, motivo per cui mi hanno chiamato “sporco imperialista”. Ho chiamato la polizia ma non era il caso dai far venire la polizia dentro l’Università, si sarebbe creato un triste precedente»
Si è sentito minacciato, poi ha visto un suo studente colpito e ha cercato di intervenire, prendendosi un pugno pure lui. Sette giorni di prognosi. E poi la paura per un clima che si sta facendo sempre più incandescente. Trema ancora la voce concitata del professor Rino Casella: ha paura che adesso, possa essere preso nuovamente di mira, dopo il blitz degli studenti pro Pal che nella mattina di oggi, 16 settembre, ha interrotto la sua lezione per mettere in atto una manifestazione di condanna della guerra a Gaza creando un parapiglia all’Università di Pisa.
Professore, cos’è accaduto esattamente?
«Era la prima lezione del nuovo corso di Diritto pubblico comparato, era una lezione normalissima che trattava di libri, di esami, c’erano circa duecento studenti quando all’improvviso…»
All’improvviso?
«Sono entrati ragazzi e ragazze di una squadraccia fascista, può scrivere tranquillamente questo termine, ed ha preteso che io interrompessi la lezione che stavo facendo. Alcuni attivisti mi hanno strappato il microfono, un altro mi ha tolto il libro e l’ha gettato via, sopra quel libro c’era una piccola bandierina americana, motivo per cui quell’attivista mi ha chiamato sporco imperialista».
E i suoi studenti in aula?
«Erano spaventatissimi, sono rimasti sulle loro sedie osservando, alcuni hanno chiamato la polizia, anche io ho chiamato la polizia, ma ho pregato gli agenti di non intervenire, perché non mi pareva il caso di far venire la polizia dentro l’Università, si sarebbe creato un triste precedente».
È stato aggredito fisicamente?
«Dopo la sospensione della lezione, non c’è stato altro da fare che mettersi in un angolo. In quel momento però uno studente che partecipava alla mia lezione, si è alzato cercando di togliere ad un attivista la bandiera della Palestina, è stato quindi preso a calci e pugni, io mi sono messo nel mezzo per tentare di fare scudo, nella speranza di sollecitare un briciolo di lucidità tra gli attivisti vista la mia figura istituzionale.
E invece?
«E invece sono stato colpito con un pugno al volto e mi sono ferito anche alle braccia con diversi graffi».
E dopo che è successo?
«Mi sono allontanato dall’aula e sono andato al pronto soccorso, dove mi hanno refertato un edema al volto e graffi al braccio, con sette giorni di prognosi».
Adesso come sta?
«Tanto choc emotivo e soprattutto tanta amarezza, non accetto che si possa interrompere una lezione all’Università, che è un luogo sacro, un luogo di confronto, non un luogo di violenza».
Crede di essere stato preso di mira perché ha preso posizione contro l’Ateneo pisano dopo la sospensione della collaborazione con due Università israeliane?
«Ribadisco che ho preso posizione in questo senso, già nei giorni scorsi circolava un volantino contro di me, e questo avrà influito, mi hanno chiamato sionista, io non la considero un’offesa, detto questo non sono di religione ebraica, sono ateo, se mi dicono che sono complice di un genocidio, beh non lo sono, tanto più che non credo sia in atto un genocidio. Ma il punto non è questo».
Qual è?
«Al di là del fatto che mi chiamino sionista o no, io sono un docente dell’Università di Pisa e dell’Università italiana, rappresento le istituzioni, e l’aggressione nei miei confronti è un’aggressione all’Università».
È preoccupato del futuro?
«Sì perché stanno saltando lentamente tutte le riserve in luoghi politicamente neutri, è una specie di incendio che si propaga sempre di più. Se continuiamo così potrebbe pure scapparci il morto. Mi chiedo: cosa fanno le Università per garantire serenamente l’attività professionale e didattica?»
Tornerà in aula tra una settimana?
«Fosse per me tornerei domattina, ma in ospedale mi hanno detto che devo stare a casa sette giorni. E quando tornerò, voglio fare lezione, anche a costo di farla in un’aula militarizzata».
Cosa vorrebbe dire al suo aggressore?
«Gli chiederei se si rende effettivamente conto di quello che ha fatto, se si rende conto della gravità, se si stente a suo agio a picchiare le persone».
Vai a tutte le notizie di Firenze
Iscriviti alla newsletter del Corriere Fiorentino
16 settembre 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA