di
Francesca Visentin
Nel nuovo volume lo «J’accuse» della vicentina: «Ho sempre seguito la voce delle vittime nei miei romanzi. È stato difficile parlare di pedofilia ecclesiastica perché è il mio mondo»
«Verrà un giorno, in cui sarà chiaro al mondo che siete la peggior feccia sulla terra, per aver peccato in pensieri, parole, opere e anche omissioni. Per aver violentato i bambini e le donne, di chiesa e non di chiesa, per aver minimizzato, ironizzato, deriso, chi lo denunciava». Si rivolge così al vescovo della sua diocesi la protagonista del nuovo romanzo della scrittrice vicentina Mariapia Veladiano, Dio della polvere (Guanda, 183 pagine, 18 euro). Un libro che è un atto forte di denuncia contro abusi e pedofilia nella Chiesa, attraverso la voce di una donna che smaschera violenza, ipocrisie, omertà. «Il vostro è un Dio della polvere. Lo avete disintegrato». Il romanzo-inchiesta mette in discussione i vertici della Chiesa e i soprusi costantemente insabbiati. L’autrice presenta il libro il 16 settembre a Vicenza a Palazzo Bonin Longare (ore 18) e il 18 a pordenonelegge Auditorium della Regione (ore 18.30). Il 2 ottobre sarà a La Fiera della Parole a Padova (Palazzo Moroni ore 17.30).
Veladiano, come teologa è stato difficile affrontare il tema di pedofilia e abusi sessuali nella Chiesa?
«Sono credente, laureata in teologia, lavoro per la rivista Il Regno da più di vent’anni, che ha seguito da sempre il tema della pedofilia. E’ cresciuta la conoscenza e insieme sono saliti sdegno e incredulità. Altrove, in Irlanda, America, Francia, Canada la chiesa cattolica ha affrontato l’argomento e ci sta lavorando. Da noi no, niente. Solo la Diocesi di Bolzano ha realizzato un’indagine indipendente, seria e documentata. Cresceva la voce delle vittime e allora ho scritto. Ho sempre seguito la voce delle vittime nei miei romanzi. E’ stato difficile parlare di pedofilia ecclesiastica perché è il mio mondo. Ma si tratta di portare a consapevolezza, qualcosa che sappiamo e che si nega ancora troppo».
Il romanzo procede come un’inchiesta. Ci sono domande che ha rivolto realmente a sacerdoti?
«Sì, a qualche prete amico. In generale sminuiscono il problema, tutti, anche i migliori. Per alcuni, i preti che vivono la propria condizione come potere e privilegio, si tratta di difendere un’istituzione che conferisce loro valore a prescindere. Seriamente, quanti preti sono persone umanamente modestissime e senza particolari qualità che non avrebbero storia al di fuori del prestigio che il fatto di essere preti dà loro in ogni caso? Per altri si tratta di non dover affrontare critiche così radicali a una condizione esistenziale che vivono con serietà»
Perché la protagonista che inchioda Chiesa e vescovo fino ad arrivare alla verità è una fisioterapista?
«Perché tocca il corpo e il corpo parla quando le parole mancano e l’anima è annientata. Le esperienze di violenza vissute da bambini lasciano tracce parlanti nel corpo. E’ un’esperienza comune che le vittime raccontano».
Pensa che chi manipola, prevarica, violenta all’interno della Chiesa si auto-assolva e manchi di consapevolezza?
«In alcuni casi si tratta di patologia probabilmente. Il caso dei padri Thomas e Marie-Dominique Philippe, di cui racconta il documentario Religieuses abuseés, l’autre scandale de l’Eglise farebbe pensare a un disturbo dell’affettività che si ripercuote sulla spiritualità. In altri si tratta sicuramente di malafede, manipolazione. Si usa l’immaginario spirituale comune e lo si manipola a fini sessuali e di potere».
Aveva in mente una diocesi in particolare?
«No. Ho letto e studiato molti casi. Le situazioni si ripetono. Tanti sanno, nessuno parla. Per un bambino abusato ci sono molti buoni fedeli silenti, che magari qualcosa immaginano, pensano, ma non dicono. Per tante ragioni. Credo profondamente che la principale sia un’educazione a un reverente silenzio, a pensare che si tratti più di un peccato del prete, che di un crimine sul bambino. C’è un’educazione al silenzio, nella chiesa».
La denuncia forte che emerge dal libro avrà impatto all’interno della Chiesa?
«Non lo so. Spero che faccia pensare».
Qual è stato il momento in cui ha deciso che non poteva tacere sul tema?
«Ho sempre pensato che un giorno avrei scritto un romanzo su questo. Non trovavo la forma. Raccontare una storia di questo tipo senza morbosità non è facile. Ho trovato la forma del dialogo tra un vescovo e una donna informata dei fatti e profondamente etica. E allora ho scritto».
Ci sono famiglie, giovani donne, bambini abusati che ha conosciuto?
«Conosciuto sì. Non sono venuti a cercarmi, li ho incrociati. E abbiamo parlato».
La protagonista dice (rivolgendosi ai preti): «Non siete così importanti da togliermi la fede». E’ un pensiero che la riguarda personalmente?
«Sì. Non solo per il fatto in sé della pedofilia ecclesiastica, ma soprattutto perché la chiesa nasconde, insabbia come dimostrano le inchieste e poi i film e le testimonianze. La chiesa è nata per difendere i poveri e i deboli, ma in questo caso nega loro ogni giustizia. E’ tremendo. E’ questo lo scandalo più importante».
Cosa vorrebbe che questo libro lasciasse?
«Tanta attenzione al tema. Uno sguardo bello libero, empatico verso i bambini e le bambine nella chiesa e fuori. Occhi aperti. Imparare a prendere sempre le difese delle vittime. Anche se si fa parte della chiesa».
Il celibato dei preti influisce su abusi e violenza?
«Ci sono studi, ma con risultati non definitivi ovvio. Rispondo con le parole di Francesco Dall’Olio, sostituto procuratore al tribunale di Roma: “un pedofilo è qualcuno che si sceglie un mestiere di maestro, di allenatore o di prete, proprio per poter meglio trovare e adescare la preda”. La chiesa protegge i suoi preti e offre molte prede. I pedofili non preti sono circa lo 0,5%, mentre fra i preti sono fra il 2 e il 6%».
Ha mai pensato di staccarsi dalla religione cristiana a causa di questo?
«Dal cristianesimo no. Dalla chiesa cattolica sì. La pedofilia è un inciampo grande alla fede».
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16 settembre 2025
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