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Le giudici del tribunale del riesame, l’organo che si occupa di validare o annullare le misure di custodia cautelare, hanno depositato le motivazioni della revoca degli arresti domiciliari per Alessandro Scandurra, ex membro della commissione per il paesaggio del comune di Milano, nell’ambito delle inchieste sull’urbanistica. Scandurra era accusato di concorso in corruzione e false dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o di altri. Gli arresti domiciliari per Scandurra erano stati revocati ad agosto, così come anche le misure cautelari disposte per tutti e cinque gli altri indagati nell’ambito dello stesso filone di inchiesta.

Secondo le giudici del tribunale del riesame Paola Pendino, Francesca Ghezzi e Vincenza Papagno, mancano indizi gravi della presunta colpevolezza di Scandurra e le argomentazioni del gip, il giudice per le indagini preliminari che aveva disposto le misure cautelari, «non convincono». Nelle motivazioni si legge che la «semplificazione argomentativa» è «svilente» e che «non risulta adeguatamente illustrata la genesi del patto corruttivo».

Il tribunale del riesame può decidere di revocare le misure cautelari per diversi motivi, come l’insufficienza di esigenze cautelari (per esempio perché non c’è il rischio di fuga o di reiterazione del reato), la mancanza di gravi indizi di colpevolezza, oppure perché ci sono stati errori procedurali. In questo caso le giudici hanno motivato la decisione con l’assenza di gravi indizi di colpevolezza, ed è un fatto rilevante. Non sono ancora state rese note invece le motivazioni per la revoca delle misure cautelari per gli altri cinque indagati nella stessa inchiesta: Manfredi Catella, il presidente del gruppo immobiliare Coima; l’ex assessore alla Rigenerazione urbana di Milano Giancarlo Tancredi; Giuseppe Marinoni, ex presidente della commissione comunale per il paesaggio, e l’architetto Federico Pella. Così come quelle della revoca della misura di custodia cautelare in carcere per Andrea Bezziccheri, socio e amministratore della società immobiliare Bluestone.

Le giudici del tribunale del riesame hanno espresso il loro scetticismo nei confronti del giudizio del gip (che aveva applicato le richieste della procura) in modo enfatico, aggiungendo tra l’altro parentesi molto eloquenti: «alla luce dei fatti [quali?], delle tempistiche [quali?] e del decorso delle varie pratiche [quali?]», o ancora «stante l’inequivoco tenore delle parole profferite [quali?] e dei comportamenti tenuti [quali?]».

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Una delle accuse rivolte a Scandurra in particolare è in riferimento ai suoi rapporti con Manfredi Catella, presidente del gruppo immobiliare Coima. L’ipotesi di concorso in corruzione formulata dalla procura dipenderebbe infatti da alcune consulenze che Coima aveva pagato a Scandurra come architetto, prima che lui si esprimesse a favore dei suoi progetti come membro della commissione paesaggio. Inoltre secondo l’accusa Scandurra avrebbe ricevuto da Coima un pagamento non giustificato da 22mila euro.

Per le giudici però il pagamento era in realtà giustificato dagli incarichi svolti da Scandurra e non è chiaro «sulla scorta di quali evidenze il gip abbia ritenuto che i progetti siano stati affidati a Scandurra in ragione della sua funzione pubblica». Per Pendino, Ghezzi e Papagno non c’è quindi «alcuna prova del patto corruttivo».

Scandurra era anche accusato di false dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o di altri per essersi espresso in quanto membro della commissione per il paesaggio su progetti di Coima, pur avendo svolto degli incarichi per il gruppo immobiliare come libero professionista ed essendo quindi in conflitto d’interessi. Le giudici hanno fatto notare che il regolamento edilizio del comune era stato modificato col divieto ai membri della commissione di esprimersi sui progetti delle aziende per le quali avevano svolto attività di consulenza solo successivamente. Secondo le giudici il recepimento del nuovo regolamento non sarebbe stato immediato e «non si evince da alcuna delle evidenze investigative che Scandurra fosse consapevole di un dovere di astensione di portata più ampia».

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