Ci risiamo. Quando la MotoGP corre in Italia mi preparo ad assistere al solito indecoroso spettacolo di qualcuno che applaude quando un pilota cade o si ritira. La mamma dei cretini è sempre incinta, ma qui non si tratta solo di qualche stupido che festeggia un incidente, si tratta dello specchio di cosa sia diventato (per molti, ma per fortuna non per tutti) il motociclismo agonistico.

Ho avuto la fortuna di avvicinarmi alle corse in pista nei primi anni 80, quelli di Marco Lucchinelli e Franco Uncini, ma anche di Barry Sheene, Kenny Roberts e tanti altri. A Monza dietro la rete metallica, alla variante Ascari o alla Parabolica, mi godevo quello spettacolo meraviglioso. Al mio fianco motociclisti e tifosi tedeschi, italiani, inglesi. Ognuno sosteneva i propri idoli, che non erano per forza della loro stessa nazionalità. Io tifavo Lucky, ma ero affascinato dal marziano Roberts e dal ribelle Barry. Non erano italiani? E allora? Stiamo parlando di piloti, di persone speciali. Cosa importa la nazionalità? Ma al di là dell’inutile nazionalismo fuori luogo, come è possibile che qualcuno ora applauda e festeggi una caduta o un ritiro?

Tutto deriva da quello che accadde nel 2015. Senza stare a riepilogare quello che successe e senza addentrarmi nella diatriba di chi avesse torto o ragione tra Rossi e Marquez, è da quella triste vicenda che nel nostro sport è nato il tifo “contrario”, la teoria del complotto, Italia contro Spagna.

Ma come è stato possibile questo imbarbarimento? Quando il motociclismo si è trasformato in una succursale del calcio più becero?

Ovviamente quando c’è di mezzo Valentino Rossi la cassa di risonanza è mondiale e quanto è successo nel 2015 ha scatenato i media, che dopo la rivalità del 46 con Biaggi, e quelle meno “appetibili” con Gibernau e Stoner, avevano finalmente modo di sfruttare uno scontro acceso, qualcosa da “vendere” anche fuori settore, che poteva interessare una massa, che vive delle rivalità dai tempi di Coppi e Bartali.

Il tutto a danno del motociclismo, che è stato snaturato. Dall’applaudire tutti i protagonisti di quello spettacolo incredibile che sono le corse in pista, siamo passati all’odio, al bruciare manichini raffiguranti “il nemico”, al festeggiare cadute e ritiri.

Molti media hanno fatto la loro fortuna su questa vicenda, tanto è vero che ancora se ne parla, anche se sono passati dieci anni ed uno dei due piloti coinvolti ha smesso di correre.

L’odio è stato per anni fomentato ad arte, mentre nessuno ha mai difeso i valori del motociclismo. Nemmeno quello più famoso dei due “contendenti”, che si è sempre rifiutato di chiudere la vicenda e non ha mai condannato questi stupidi atti che nulla hanno a che fare con il nostro sport. Un vero peccato che Vale non abbia confermato fuori dalla pista, quello che ci ha invece regalato dentro la pista.

I fischi ed i festeggiamenti proseguiranno ancora per qualche anno, per la gioia di chi non conosce cosa sia il vero motociclismo e quindi non può far altro che raccontare di litigi e polemiche, e di chi lo fa per raccogliere abbonamenti e like.

Ma voi per favore non vi fate ingannare. Il nostro è uno sport unico e non è fatto di odio, bensì di una passione che non ha riscontro in nessun altro sport. Quello che qualcuno ci vuole “vendere” non è il vero motociclismo. Quello reale è Toprak Razgatlioglu che dice a Jonathan Rea: “senza di te non sarei diventato il pilota che sono”, è Marco Bezzecchi che va a stringere la mano a Marc Marquez per il bellissimo duello dei quali sono stati protagonisti, è Pecco Bagnaia che condanna i fischi. Quello vero è fatto di una passione unica, che porta i piloti a fare grandi sacrifici e a dare sempre il massimo, sino al punto di rischiare la propria vita, come è purtroppo successo di recente.

Il vero motociclismo è Jorge Lorenzo che corre con una spalla rotta, Loris Capirossi che corre con una mano fratturata o Noriyuki Haga che non si arrende ad una clavicola scomposta, ed altri cento casi come questi, ai quali ho assistito di persona, perché questi sacrifici, queste incredibili imprese non le fanno solo i grandi campioni, ma anche chi corre nei trofei, nei campionati considerati “minori”, perché tutti i piloti gareggiano per il piacere di correre, per sfogare la loro immensa passione, per sfidare se stessi.

Non credete a chi vi racconta storie diverse o a chi vuole solo alimentare dell’odio per il proprio personale interesse. Quello non è motociclismo.