L’offerta pubblica su Mediobanca, diventata di acquisto e di scambio, sta andando in porto al di là di ogni ottimistica previsione. Il successo dell’azione di Monte Paschi e dei suoi azionisti, tra cui lo stesso governo, porterà probabilmente alla fusione e quindi alla scomparsa, almeno formale, dell’istituto milanese. La storia finisce qui. Non è solo una storia finanziaria però.
C’è dentro tutto il secondo Novecento, la rinascita repubblicana, le origini del partito d’azione, il meglio della cultura antifascista nel segno di Raffaele Mattioli, Adolfo Tino ed Enrico Cuccia, la difesa della laicità dello Stato. Poi ci sono anche le dinamiche del rapporto tra pubblico e privato, nazionalizzazioni e privatizzazioni, operazioni riuscite e altre decisamente no; occasioni nelle quali per una commissione in più si è fatto troppo o male. L’eutanasia di Mediobanca avviene nel silenzio, colpevole, di una comunità finanziaria che si inebria della neutralità delle regole di mercato solo quando le fanno comodo. E si accoda ai potenti di turno con indicibile dimestichezza. L’avessero fatto Enrico Cuccia e Vincenzo Maranghi nella Prima repubblica, le vicende nazionali sarebbero state diverse, non necessariamente migliori. Certamente né l’uno né l’altro – espressione di una classe dirigente sobria e persino austera – avrebbero approvato le generose stock option che i vertici di Mediobanca ora incassano con meravigliosi ritorni, partecipando di fatto anche loro a un’operazione che hanno pervicacemente avversato.
Ed è particolarmente triste che non vi sia un’occasione pubblica, un’intervista, una dichiarazione che ricordi ai nuovi proprietari che cosa è stata Mediobanca e che cosa non sarà più. Certo, dopo aver incassato le stock option non è per niente facile.
17 settembre 2025, 11:44 – modifica il 17 settembre 2025 | 11:44
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