di
Giuseppe Sarcina
In cambio di un dazio al 15%, gli americani chiedono anche l’acquisto di semiconduttori e l’abolizione delle normative contro le big tech
A meno di clamorose sorprese, oggi Donald Trump e Ursula von der Leyen fisseranno al 15% il dazio imposto sulle merci europee esportate negli Stati Uniti. I tecnici del Commissario al Commercio Ue, Maros Sefcovic, chiedono di allineare al 15% il prelievo del 50% su acciaio e alluminio, nonché quello del 27,5% sulle auto. Ursula von der Leyen dirà a Trump che gli europei sono disponibili ad acquistare più gas liquido e più armi «Made in Usa». Il leader della Casa Bianca replicherà: bene, ma non basta.
Chip in esclusiva
Che cosa vogliono, allora gli americani? Tante cose. Due in particolare. Primo: gli europei si devono impegnare a comprare i semiconduttori, componente elettronica fondamentale ormai per quasi tutti i settori industriali, dai fornitori americani. Non dai cinesi e nemmeno da Taiwan. Non è affatto certo che la capacità di produzione statunitense sia in grado di soddisfare la domanda totale del Vecchio Continente. Tuttavia per l’Amministrazione Trump questa è una questione di principio: siete nostri alleati, non potete procurarvi materiale potenzialmente sensibile in Cina o altrove. Dovete prenderlo da noi. Ma c’è un altro tema, quello del digitale, che rischia di minare l’eventuale intesa, perché il confronto tecnico, di merito, si trasforma in una questione politica essenziale tanto per questa Amministrazione di Washington quanto per l’Europa. Bisogna tornare al discorso che il vice presidente americano J.D. Vance pronunciò alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco nel febbraio scorso. L’Europa, disse tra l’altro, sta soffocando la libertà di espressione
La partita del digitale
Gli americani hanno chiesto subito di abolire parte della normativa che disciplina il settore. In particolare vogliono che venga modificato, meglio se cancellato, il Regolamento sulla concorrenza («Digital Market Act») che ha consentito di mettere sotto accusa le condotte di Google e di Apple. Ma soprattutto, Washington rifiuta le norme sulla moderazione dei contenuti diffusi in rete e la protezione degli utenti garantite dal Regolamento «Digital Services Act». Sarebbero questi, nella visione di Vance, i vincoli che, in realtà, più che soffocare la libertà di espressione, limitano il business delle piattaforme americane, da «X» di Elon Musk a «Meta» di Mark Zuckerberg. E, si potrebbe osservare, anche la diffusione di una propaganda spregiudicata, senza filtri e senza regole, come quella adottata dai militanti trumpiani. Il problema è che la larga maggioranza dei governi Ue e degli europarlamentari considerano quei paletti irrinunciabili. Se saltano, salta pure l’accordo. Come uscirne allora? Stando a quanto risulta da fonti europee, la Commissione starebbe lavorando a una soluzione di compromesso: i due Regolamenti non si toccano, ma si potrebbe ammorbidirne l’applicazione. Si sta tentando di capire fino a dove ci si potrà spingere, in modo da accontentare Washington senza, però, perdere il consenso dell’Europarlamento, necessario per rendere operativo qualsiasi accordo commerciale.
Diplomazie al lavoro
Nel frattempo si stanno muovendo anche le imprese e le diplomazie dei singoli Paesi. Sarà importante identificare quelle categorie di prodotti che potrebbero essere esentati dai dazi, o toccati in modo più leggero. Poi si proverà a mitigare i danni, cercando di venire a patti con gli importatori americani. Un caso che ci riguarda potrebbe essere il commercio dei vini e di altre specialità agroalimentari. Produttori italiani e distributori americani potrebbero dividersi in qualche modo il peso dei dazi, in modo che non sia scaricato totalmente sui prezzi, con l’effetto di allontanare i consumatori.
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27 luglio 2025 ( modifica il 27 luglio 2025 | 09:38)
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