È in uscita il libro “Anima mediterranea. La leadership come arte della guida” (Luca Sossella editore, Bologna 2025, pagine 208, euro 12), di Elena Granata e Andrea Granelli. Ne pubblichiamo di seguito la prefazione, scritto dal sottosegretario al Dicastero della Santa Sede per la cultura e l’educazione.
di Antonio Spadaro
All’inizio di questo libro c’è una civetta. Una civetta che vola nel crepuscolo, come quella evocata da Hegel quando parlava della filosofia che arriva sempre troppo tardi, a fine giornata, quando tutto è già accaduto. Ma questa civetta non vola sopra Berlino. Sorvola il Mediterraneo. Vede le rovine greche e i porti commerciali, le cupole delle moschee e i campanili, i giardini delle case arabe e le terrazze di cemento. Non porta con sé un sapere freddo e distaccato. Porta l’intuizione che il tempo della leadership così come l’abbiamo conosciuta è finito. E che dobbiamo immaginarne uno nuovo. Urgentemente. È proprio questo il gesto che compiono Elena Granata e Andrea Granelli: affrontano con coraggio e intelligenza una crisi tanto diffusa quanto sfuggente. Perché oggi la parola “leadership” è ovunque, ma la sostanza è introvabile. È diventata un mantra vuoto, una formula da keynote aziendale, una voce nei CV. Ma intanto, nella realtà, assistiamo alla dissoluzione della guida: nelle imprese, nelle istituzioni, nella scuola, nella politica. Abbiamo leader, ma non abbiamo più guide. È qui che questo libro si fa necessario perché va al cuore del problema: non si limita a un aggiornamento delle competenze, non propone un nuovo acronimo motivazionale, ma una visione alternativa, profonda, radicata, poetica. E lo fa riportandoci a sud, al Mediterraneo. Non come luogo fisico soltanto, ma come principio generativo, come forma del pensare, del decidere, del vivere. Il Mediterraneo è un mare-finestra sul quale si affacciano terre di grande ricchezza e diversità, accomunate da traiettorie che si sono incrociate in un mare da tutti riconosciuto come “nostro”: Mare Nostrum è il suo antico nome latino. Nella geografia culturale a noi più prossima, pensata troppo spesso soltanto in termini continentali e mitteleuropei, occorre con forza ribadire la presenza del Mediterraneo, che è come l’orizzonte: più ci si avvicina e più esso sfugge. È capace di generare valori, simboli, colori, sapori, architetture, linguaggi e sensibilità insospettabilmente simpatetiche e armoniche, pur nella differenza delle storie e nonostante la presenza di non poche conflittualità: dalla Spagna alla Grecia, dal Marocco al Libano, dalla Francia all’Albania. Il Mediterraneo, nel pensiero degli autori, dunque, non è un simbolo identitario da difendere. È un metodo. È un modo di stare al mondo generativo grazie alle differenze e alle opposizioni polari che generano questo spazio riconosciuto come “nostro”. Ed è il contrario del modello anglosassone dominante: performativo, astratto, accelerato, ossessionato dalla misurazione e dalla scalabilità. Il modello che ha colonizzato le business school, gli algoritmi, i manuali. E che oggi mostra tutti i suoi limiti. Perché quel modello — ci dicono Granata e Granelli — è diventato disfunzionale. Produce disconnessione, non connessione. Produce ansia, non visione. È fondato su una concezione tecnocratica e puritana del potere che ignora la bellezza, il limite, il radicamento. Questo libro, in particolare, ci aiuta a superare il pensiero binario perché propone una visione del mondo e della leadership capace di abitare l’ambiguità, la complessità e il meticciato delle esperienze umane. La prospettiva mediterranea che attraversa tutto il testo si fonda sulla convinzione che le soluzioni semplicistiche — il giusto contro lo sbagliato, l’antico contro il moderno, la tecnica contro l’umano — non siano più praticabili né desiderabili. La guida mediterranea, come viene qui delineata, si nutre di “metis”: un’intelligenza sottile, fluida, astuta, capace di sfuggire alle gabbie delle opposizioni nette e di generare senso nei passaggi liminali. In questa logica, il Mediterraneo stesso è assunto come figura simbolica e reale di un pensiero non oppositivo, ma connettivo: crocevia di civiltà, luogo di mescolanze, di contaminazioni linguistiche, religiose, culturali. Il libro invita dunque a pensare in termini di relazioni piuttosto che di opposizioni, a coltivare la capacità di cogliere le interconnessioni tra fenomeni apparentemente distanti — arte e scienza, parola e corpo, tecnica e spiritualità — e ad accogliere la pluralità come risorsa per la guida e non come ostacolo. La sapienza proposta non è quella dell’univoco, ma del molteplice, della complessità che non si lascia ridurre né risolvere. Così facendo, questo libro disinnesca alla radice le derive polarizzanti e restituisce al lettore un modo di pensare e agire più libero, più mobile, più umano. E allora, che cosa significa “guidare” a partire dal Mediterraneo? Significa, innanzitutto, assumere la complessità come materia prima. Riconoscere che la realtà non è riducibile a numeri o indicatori, che i contesti contano, che i corpi sentono, che le parole pesano. Significa capire che l’arte della guida è fatta di misura, di attenzione, di cura. Che non c’è guida senza un’etica della presenza, senza una politica dell’ascolto. Che chi guida non è colui che precede, ma colui che accompagna. Non colui che trascina, ma colui che apre sentieri. Granata e Granelli mettono a fuoco con chiarezza un paradigma, e lo articolano attraverso una riflessione che unisce urbanistica, impresa, spiritualità, cultura. Il Mediterraneo diventa così una lente per rileggere il nostro tempo: un tempo in cui l’accelerazione ha prodotto smarrimento; l’iperconnessione, isolamento; la disponibilità infinita di informazioni, ignoranza. Un tempo in cui la leadership si è spezzata perché ha perso il suo contatto con la terra, con il linguaggio, con le relazioni. In cui il carisma è stato sostituito dalla visibilità. In cui il potere è diventato simulacro. Per questo, il libro propone un’alternativa concreta: passare dalla figura del leader alla figura della guida. È una distinzione cruciale. Il leader è spesso un costrutto retorico, una proiezione collettiva. La guida è una presenza reale. Vive dentro i contesti, ne sente le tensioni. Sa quando tacere. Sa quando fermarsi. Sa che ogni decisione ha un peso ecologico, simbolico, umano. La guida non pianifica soltanto: discerne. Non impone: accompagna. Non controlla: si prende cura. Due figure emblematiche incarnano nel volume questo paradigma: Adriano Olivetti e Papa Francesco. Due uomini che, ciascuno a suo modo, hanno saputo coniugare visione e realtà. Olivetti, l’industriale poeta, ha immaginato la fabbrica come spazio di civiltà. Non un luogo neutro di produzione, ma un ecosistema sociale e culturale. Il suo progetto era radicale: fondere bellezza, tecnologia e giustizia. Pensare l’impresa come un’opera d’arte collettiva. Lontanissimo dall’attuale logica dello shareholder value, Olivetti credeva che un’impresa dovesse contribuire alla felicità pubblica. La sua era una leadership fondata sull’etica del luogo, sulla responsabilità, sulla bellezza come categoria politica. Papa Francesco, dal canto suo, ha portato nella Chiesa un modello di guida che disorienta proprio perché non si fonda sulla forza, ma sulla vulnerabilità. La governance di Francesco ha aperto spazi. La sua “sinodalità” è esattamente questo: un’arte della guida condivisa, fondata sul discernimento, sull’ascolto, sulla fiducia nello Spirito. È una forma di leadership profondamente mediterranea: plurale, relazionale, inquieta, attenta alla carne del mondo. È stato lui a parlare delle tre posizioni di guida da parte dei pastori, i vescovi: «Presenza pastorale significa camminare con il Popolo di Dio: camminare davanti, indicando il cammino, indicando la via; camminare in mezzo, per rafforzarlo nell’unità; camminare dietro, sia perché nessuno rimanga indietro, ma, soprattutto, per seguire il fiuto che ha il Popolo di Dio per trovare nuove strade». Queste parole, tradotte per il mondo della leadership aziendale, ad esempio, avrebbero effetti davvero rivoluzionari. Olivetti e Francesco sono state guide autentiche, concrete, visionarie. Entrambi hanno cercato di abitare il potere senza farsene sedurre, di esercitare autorità senza dominarla, e di restituire 12 alla guida la sua dimensione etica, culturale, spirituale. Ma questo libro non è un’agiografia né un manuale: è un invito. A guardare il Mediterraneo come spazio di apprendimento: a capire che l’intelligenza non è solo logica, ma anche emotiva, simbolica, relazionale; a riconoscere che l’innovazione non è distruzione, ma metamorfosi; a riscoprire la sapienza come competenza fondamentale; una sapienza che non si misura in output, ma in senso, e che si coltiva attraverso il tempo, la lingua, la narrazione. Ed è una sapienza “spirituale” che trova, ad esempio, in un genio come quello di Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti, un suo preciso riferimento. Quell’Ignazio che scrisse: «Non è il molto sapere che sazia e soddisfa, ma il sentire e gustare le cose interiormente». Granata e Granelli hanno scritto un libro che si legge come una conversazione e si rilegge come una mappa. Ogni capitolo è un viaggio: tra storia e filosofia, tra arte e organizzazione, tra politica e spiritualità. E ogni passaggio è segnato da una convinzione: che per guidare occorre essere prima guidati. Dalla tradizione, certo. Ma anche dai luoghi, dai legami, dalle fragilità. Che non si guida se non si abita. E che non si abita se non si è disposti ad ascoltare. È un libro che arriva al momento giusto. In un tempo in cui i leader sembrano moltiplicarsi mentre le direzioni si perdono, “Anima mediteranea” offre un punto fermo, non definitivo, non dogmatico, ma solido, umile e vivo. È un testo che parla a chi guida e a chi è guidato, a chi insegna e a chi impara, a chi amministra, costruisce, educa, accompagna. Perché la guida — ci ricordano gli autori — non è una funzione ma una forma di vita. Ecco allora perché consiglio di leggerlo. Ma anche di praticarlo, di portarlo nei luoghi di formazione, nelle aziende, nei comuni, nelle scuole, nei seminari. Di usarlo non per trovare risposte ma per formulare domande migliori che vengano dal basso, che abbiano radici; domande che non temano la complessità, che non abbiano fretta di chiudersi, che non separino la ragione dal cuore. In un’epoca che ha smarrito l’anima della guida, questo libro la cerca. E la trova, con intelligenza e passione, tra le onde del Mediterraneo.
Una civetta la sorvola. E da lassù, ci invita a rallentare, a pensare, a connettere. A ricominciare.