di
Alessandro Sala
Appello ai parlamentari di tutte le forze politiche: «È contro la Costituzione e le norme europee». In campo non solo ambientalisti ma anche gruppi scientifici ed escursionistici
Una marcia a tappe forzate con sedute anche notturne e senza limiti di orario. Un extra lavoro per i senatori chiamati ad affrontare, per ora in commissione, il progetto di legge di riforma dell’attività venatoria che prevede un forte allargamento delle maglie nelle limitazioni su calendari e specie cacciabili e che punta a spostare a livello regionale e politico le principali decisioni in materia. Questa calendarizzazione così serrata ha sollevato la protesta dei gruppi di opposizione ma anche di un cartello di 55 associazioni ambientaliste e animaliste, ma anche scientifiche ed escursionistiche, che operano su tutto il territorio nazionale e che si sono unite nella protesta contro un provvedimento che ritenevano già sbagliato nel merito e che era già stato ribattezzato «sparatutto». E che ora contestano anche nel metodo, visto che la stessa solerzia non viene applicata in Parlamento per altri provvedimenti, anche quelli che richiederebbero una maggiore urgenza.
«Mentre la biodiversità versa in una crisi senza precedenti e l’agricoltura italiana affronta sfide epocali dai cambiamenti climatici alla crisi dei mercati – scrivono in una nota congiunta le 55 organizzazioni – il Senato della Repubblica viene paralizzato da sedute fiume imposte per accelerare l’approvazione del Ddl Caccia, un provvedimento che non è né urgente né prioritario, anzi dannoso per il Paese». Una critica viene mossa direttamente al presidente della commissione Agricoltura, Luca De Carlo, di Fratelli d’Italia, che ha stabilito due convocazioni giornaliere: una alle 8 del mattino e l’altra notturna, a partire dalle 19 ma senza termini di chiusura. Secondo le associazioni si tratta di una forzatura finalizzata solo a portare a casa dei risultati parziali – la legge dovrà poi passare al vaglio dell’aula e poi ripetere l’iter anche alla Camera, per cui ha davanti un iter parecchio lungo – da potere spendere durante le prossime campagne elettorali per le Regioni. Del resto la caccia è un tema che ha un grande risvolto proprio a livello regionale e lo stesso disegno di legge, come accennato, punta a dare agli enti locali maggiori poteri sulla determinazione dei calendari venatori.
«Questo disegno di legge non risponde ad alcuna necessità reale – puntualizzano le associazioni firmatarie -. Non tutela gli agricoltori, come falsamente sostenuto dalla propaganda governativa, ma al contrario li espone a nuove criticità. Non sostiene i territori, ma li trasforma in un’arena di caccia senza regole. Non garantisce, paradossalmente, nemmeno i cacciatori perché apre il Paese ad un numero indefinito e incontrollabile di cacciatori stranieri, favorisce bracconieri e abusi». Non solo: «Gli emendamenti presentati da numerosi esponenti dei gruppi di maggioranza hanno reso la proposta ancora più estrema: via ogni riferimento alla protezione degli animali, anche nel titolo della legge, ampliamento delle specie cacciabili inclusi stambecco, oca e piccione, apertura alla cattura degli uccelli da usare come richiami vivi, riduzione del livello di protezione del lupo e dello sciacallo dorato, la possibilità di cacciare in spiaggia, in barca, anche nei terreni ghiacciati e persino con l’uso di silenziatori, così da non lasciare scampo agli animali, rendendo impossibili i controlli e imponendo limiti alle attività delle guardie venatorie volontarie. Un attacco diretto alla biodiversità, alla sicurezza e alla legalità».
Molti degli emendamenti appaiono di bandiera e negli stessi ambienti della maggioranza viene ribadito come un conto sia la legge e un conto l’iniziativa di singoli parlamentari. Ma resta il fatto che la caccia è diventata una priorità della maggioranza, come dimostra anche la «correzione» avvenuta in tempi molto stretti sul tema della caccia nei valichi montani, quelli attraversati dalla fauna migratoria, che è stata di fatto autorizzata in risposta a due sentenze del Tar e del Consiglio di Stato risalenti a maggio e giugno che avevano stoppato l’attività venatoria in tutti i colli della Lombardia. La norma è stata inserita nel ddl Montagna approvato in via definitiva nei giorni scorsi, dove inizialmente non era prevista, così da farla entrare in vigore a stagione venatoria appena iniziata.
Le associazioni ritengono che il Parlamento stia concentrando tempo ed energie su un provvedimento «che soddisfa solo le pressioni di una parte del mondo venatorio, quella più estremista e aggressiva» e che questo sia «inaccettabile». Di qui l’appello ai Parlamentari di tutti gli schieramenti, compresi quelli dei partiti di maggioranza, a fermarsi a riflettere e a non approvare «un testo che calpesta la Costituzione, viola norme europee, danneggia gli agricoltori, tradisce gli interessi della collettività e mette a rischio l’ambiente, la salute e la sicurezza di tutti».
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17 settembre 2025
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