«Il sogno di tutti? Non fare una mazza». Così esordisce Johnson Righeira, all’anagrafe Stefano Righi, nel presentare al Corriere della Sera il suo nuovo singolo dal titolo evocativo: “Chi troppo lavora (non fa l’amore)”. Un brano che mescola ironia, provocazione e malinconia, com’è nello stile di chi negli anni ’80 ha fatto ballare l’Europa con hit indelebili come Vamos a la playa e L’estate sta finendo.










A distanza di oltre quarant’anni dal successo planetario, Righeira riparte da un messaggio semplice ma sovversivo: lavorare meno, vivere meglio. «È un inno all’ozio, ma anche a un lavoro giusto e retribuito il giusto», spiega.

E aggiunge: «Non ho mai avuto la pretesa di fare filosofia, ma una certa cialtronaggine mi accompagna da sempre».

Un successo radioattivo (e redditizio)


Lanciata nel 1983 con un sound estivo e una patina leggera, Vamos a la playa parlava in realtà di una catastrofe nucleare. Un brano distopico travestito da tormentone, nato nella cantina torinese di Johnson e poi plasmato dai fratelli La Bionda, che ne intuirono il potenziale: «Era troppo cupo, lo volevano più allegro. Hanno avuto ragione loro». Quel pezzo, oggi, come spiega al Corriere, continua a generare introiti: «È la canzone che rende di più in assoluto. Vale come una buona pensione. Al secondo posto c’è L’estate sta finendo». Ma il boom arrivò mentre Johnson era sotto le armi: «Facevo la naja. Vivevo una vita da archivista militare, mentre il mio pezzo spopolava ovunque. Una frustrazione pazzesca». Simulò una crisi per ottenere un permesso: «Non era del tutto inventata. Alla fine mi concessero 20 giorni. Poi altri ancora. Ne uscii così».



L’addio a Michael e il rimpianto della critica


Con Michael Righeira, compagno di banco e sodale artistico, l’idillio si spezzò alla fine degli anni ’80: «L’insuccesso ci colpì in modo diverso. Io fui più superficiale, lui più profondo. Vennero a mancare gioco e sintonia. Avevamo visioni di vita diverse, ci siamo allontanati». Oggi i contatti sono sporadici, formali. La magia è lontana. Eppure i Righeira, spesso liquidati come fenomeno leggero, avevano una complessità che la critica ignorò: «Ci soffrivo tanto. Avevamo contenuti, citazioni, piani di lettura. Ma le recensioni erano negative. Io mi incazzavo come una bestia». Una rivalità invece si trasformò in amicizia: «Con Gazebo ci si contendeva le classifiche. Ora è uno dei miei più cari amici».



Donne, malinconie e una radio che non risponde


Nonostante la fama, Johnson non si definisce un seduttore: «La timidezza mi ha sempre frenato. Sono un sentimentale. Anche nelle avventure di una notte, ho ricordi teneri. Non sono mai stato uno da conquiste a raffica». Il nuovo singolo, però, sembra ignorato dalle radio. E la frustrazione è evidente: «Mi tengono fuori dai giochi. Chissà perché». Intanto continua a esibirsi: «Faccio ancora 40-50 serate l’anno. E mi basta».



Da Boy George a oggi: la memoria degli anni d’oro


Tra i ricordi che non sbiadiscono, uno su tutti lascia Johnson a bocca aperta: «A Parigi, incrociammo i Culture Club. Boy George ci vide e iniziò a canticchiare Vamos a la playa. Fino a pochi mesi prima compravo i suoi dischi… un vero flash». Oggi, tra serate revival e nuovi brani, Righeira resta fedele alla sua cifra: ironia malinconica, leggerezza pensante. E un messaggio che non passa mai di moda: «L’orario di lavoro deve essere equo, così uno ha anche il tempo per fare l’amore».




Ultimo aggiornamento: domenica 27 luglio 2025, 10:37



© RIPRODUZIONE RISERVATA