Anche se non si può mai dire come sarà la stagione influenzale, pena l’essere smentiti dai fatti, ci sono segnali che indicano una stagione potenzialmente problematica, stando almeno a quanto si sta verificando in Australia. Il tutto, mentre non si abbassa certo l’attenzione nei confronti del Covid. A complicare la situazione ci sono altri quadri come ad esempio quelli determinati dal Virus respiratorio sinciziale o RSV e da batteri che provocano infezioni di questo tipo.

Quanto pesano queste condizioni sulla salute del singolo e sulla sanità pubblica? E soprattutto, quali possono essere i modelli ottimali per far giungere la prevenzione capillarmente su tutti i cittadini, con ovvia attenzione per le fasce più esposte a complicanze come gli anziani e chi soffre di malattie croniche? Ecco alcune risposte degli esperti, merse in occasione dell’incontro “Infezioni respiratorie: impatti sull’Healthy Ageing e costi del SSN”, realizzato da The European House – Ambrosetti.

Quanto pesano le infezioni respiratorie

Ogni anno in Italia si registrano circa 188.300 casi di infezioni respiratorie ogni 100.000 abitanti, un dato superiore alla media europea. Ogni cittadino si ammala quasi due volte l’anno, con un’incidenza particolarmente elevata nei bambini (323.000 casi per 100.000) e significativa negli over-50 (140.000 casi per 100.000).
Nell’ultimo anno le sindromi simil-influenzali, attribuibili a una pluralità di virus respiratori e non soltanto ai virus influenzali tradizionali, hanno interessato il 27.7% della popolazione, in crescita rispetto alla stagione precedente. Le infezioni respiratorie sono anche tra le patologie per cui vengono prescritti più antibiotici, spesso in maniera non appropriata, contribuendo allo sviluppo di ceppi resistenti e al fenomeno dell’antimicrobico-resistenza, inserito dall’OMS tra le 10 principali minacce globali alla salute pubblica, insieme all’esitanza vaccinale.

“Oltre che da un punto di vista di Sanità pubblica, le infezioni respiratorie si caratterizzano anche per un elevato burden economico. Sulla base di una analisi della letteratura medico-scientifica abbiamo stimato un costo annuale delle infezioni respiratorie diretto e indiretto per l’economia nazionale pari a circa 7.5 miliardi di euro. Questi costi sono comprensivi dell’utilizzo di risorse sanitarie (ricoveri ospedalieri, accessi ambulatoriali, farmaci e diagnostica), della perdita di produttività (degli individui e dei caregiver) e del valore economico degli anni di vita persi per la mortalità causata da queste patologie”

segnala Rossana Bubbico, Senior Consultant di The European House – Ambrosetti.

Chi rischia di più e come proteggerlo

L’immunosenescenza – l’invecchiamento del sistema immunitario – espone gli anziani a rischi più elevati. L’88% dei decessi influenzali in Europa riguarda questa fascia di popolazione, così come oltre il 96% dei decessi per Covid-19 in Italia. Il virus respiratorio sinciziale (RSV), spesso sottovalutato, causa ogni anno oltre 26.000 ricoveri e 1.800 decessi, soprattutto tra gli anziani.

“Ogni anno, durante la stagione di circolazione delle sindromi influenzali – che includono influenza, Covid-19, virus respiratorio sinciziale, parainfluenzali e rinovirus – in Italia si registrano tra i 5.000 e i 15.000 decessi in eccesso, con gli anziani e i soggetti fragili che sono tra i più colpiti”

fa sapere Massimo Andreoni, Direttore Scientifico della SIMIT e Professore Ordinario di Malattie Infettive presso l’Università Tor Vergata di Roma.

“Si tratta di numeri che da soli basterebbero a confermare come le infezioni respiratorie rappresentino una vera priorità di sanità pubblica, non limitata al solo periodo invernale, come dimostrano anche i dati sul COVID di queste settimane. In questo contesto, i vaccini si confermano uno strumento decisivo: non solo riducono il rischio di contrarre e trasmettere l’infezione, ma consentono di prevenire migliaia di ricoveri e decessi, alleggerendo al tempo stesso la pressione sul sistema sanitario”.

La prevenzione vaccinale è riconosciuta come l’intervento più efficace per ridurre la diffusione delle infezioni respiratorie, abbattere ricoveri e mortalità e contenere la spesa sanitaria. Nonostante ciò, i tassi di copertura vaccinale in Italia rimangono drammaticamente bassi.

Obiettivo, avvicinare le vaccinazioni alle persone

Negli ultimi anni le aziende sanitarie hanno adottato nuove misure per rafforzare le vaccinazioni: la chiamata attiva dei cittadini, oggi usata dal 70.7% delle strutture, è lo strumento più diffuso ed efficace. Dopo la pandemia, quasi la metà (47.6%) delle aziende ha aperto nuovi hub vaccinali e oltre un quarto (27.4%) ha ampliato la rete territoriale.
Restano però ritardi: solo l’8.3% ha investito in sistemi digitali per prenotazioni e monitoraggio, e appena il 37.6% ha avviato programmi di recupero dei soggetti inadempienti. Un presidio centrale restano i medici di famiglia: il 96.2% somministra il vaccino antinfluenzale e il 94.9% l’antipneumococcico, ma la quota scende al 75.9% per il vaccino anti-Covid.

“Negli ultimi anni a fronte di un invecchiamento della popolazione e dell’aumento delle patologie croniche, stiamo assistendo ad un progressivo allontanamento dei cittadini dalle vaccinazioni; dobbiamo far sì che i pazienti tornino a fidarsi della scienza, questo è importante per la loro salute”

precisa Lara Morelli, Vice Segretario di FIMMG Roma.

“Per fare ciò è fondamentale che da noi Medici, (sia Medici di Medicina Generale, sia specialisti) arrivi un messaggio univoco che proponga al paziente un programma vaccinale specifico che sia cucito come un abito sartoriale, sulle necessità del singolo assistito”.

Fa sapere il Segretario nazionale di Federfarma Michele Pellegrini Calace:

“Le farmacie si sono dimostrate un valido supporto alle strutture vaccinali pubbliche grazie alle loro caratteristiche peculiari: la capillarità della rete, l’elevata professionalità dei farmacisti appositamente formati per la somministrazione di vaccini, l’ampiezza degli orari di apertura e il collegamento informatico alle piattaforme pubbliche. Il modello operativo adottato dalle farmacie durante la pandemia è stato esteso anche alla vaccinazione antinfluenzale e ad altre vaccinazioni similari, come ad esempio Herpes Zoster e HPV nelle Marche, anti-pneumococcica in Lombardia. Tutto questo contribuisce ad ampliare le coperture vaccinali, con benefici sia per i cittadini, sia per il Servizio Sanitario Nazionale”.

Sei obiettivi per migliorare

Il quadro è chiaro: di fronte a un invecchiamento rapido della popolazione – nel 2050 oltre un terzo degli italiani avrà più di 65 anni – il nostro Paese deve rafforzare la prevenzione e rilanciare le campagne vaccinali, superando le barriere organizzative e culturali che oggi frenano l’adesione.
Serve:

  • garantire un’anagrafe vaccinale nazionale e un aggiornamento costante del calendario vaccinale, includendo nuove immunizzazioni come anti-Covid e anti-RSV;
  • pubblicare con tempestività le circolari ministeriali sulle vaccinazioni antinfluenzali e anti-Covid per permettere alle Regioni di organizzare per tempo la campagna vaccinale stagionale;
  • potenziare la comunicazione con messaggi chiari e affidabili, capaci di contrastare fake news e disinformazione;
  • facilitare l’accesso ai vaccini, ampliando la rete di somministrazione (MMG, farmacie, RSA, unità mobili);
  • introdurre sistemi di chiamata attiva e vaccinazione “opportunistica”, che sfruttino occasioni di contatto con il sistema sanitario;
  • approvare protocolli tra Regioni, ospedali e RSA per istituire ambulatori vaccinali per promuovere la vaccinazione nei soggetti più fragili.

Le indicazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a scopo informativo e divulgativo e non intendono in alcun modo sostituire la consulenza medica con figure professionali specializzate. Si raccomanda quindi di rivolgersi al proprio medico curante prima di mettere in pratica qualsiasi indicazione riportata e/o per la prescrizione di terapie personalizzate.