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«Parlare di un libro è un po’ come tornare in quella nebbia che l’ha preceduto, da cui è nato per dissiparla» mi dice Éric Chevillard davanti a un caffè a Pordenone, dove domani, venerdì 19 settembre, sarà sul palco dell’Arena Europa, ospite di Pordenonelegge, per una lettura scenica con Paolo Di Paolo.
Ho appena finito di intervistarlo, costringendolo a trovare un’altra forma, molto più imperfetta, per dire quel che ha già detto. Poco prima aveva affermato di amare le forme brevi, concentrate, e all’opposto la digressione continua, consapevole del paradosso: «Da un lato sento che non vorrei mai smettere di scrivere, dall’altro che scrivo per mettere un punto». Spero perciò che avergli chiesto di raccontare il suo ultimo libro: Santo cielo (prefazione di Paolo Di Paolo, traduzione di Gianmaria Finardi, Prehistorica, pagg. 176, euro 17) possa essere considerata come una digressione sul tema.
Santo cielo… di cosa parla?
È la storia di un uomo che muore e si ritrova nell’aldilà un po’ smarrito per quello che scopre. In questo soggiorno celeste ha una visione completa del mondo che sta sotto di lui, come se fosse su un belvedere. Vede la gente vivere sulla Terra e ha una conoscenza assoluta di cosa è stata la vita, di tutto quel che non ha capito. Tutto gli è ormai rivelato. Si rende conto che il paradiso è una sorta di burocrazia, dove si passa da ufficio in ufficio per capire le cose. Santo cielo è un po’ una fantasia della vita dopo la morte, indaga il fantasma che abbiamo, il desiderio di avere una conoscenza perfetta della vita, del suo senso, e di tutto quello che è successo nella propria esistenza
Albert Moindre, il protagonista, viene a conoscenza di dove ha perso il suo ombrello, sa se una certa donna l’ha veramente amato, quante donne l’hanno veramente amato, quanti polli ha mangiato, quanti gradini ha salito, che ne è stato del suo amico che ha perso di vista. In paradiso tutto gli è rivelato, ha la soluzione a tutte le domande, dalle più aneddotiche alle più profonde, può infine sapere chi è il più grande scrittore di tutti, come se ci fosse una verità suprema a cui si può avere accesso.