Chi è Frank? Lo incontriamo fin dagli anni dell’infanzia, mentre ripercorre le tracce di inchiostro lasciate cadere da una madre tentacolata e, nel delirio, desidera morire e tornare a essere «come se non», del tutto scisso da ciò che lo definisce. Frank è pura vita al di là di ogni forma riconoscibile. Divora e si lascia divorare, pur di permettere all’energia cosmica di prodursi e riprodursi insaziabile: «ogni vita salvata è vita che ti torna indietro». Non pare scalfito dallo sparo che abbatte la sua sorella volante.

E quando la madre e il padre appassiscono e scompaiono, Frank ha finalmente conferma dell’unica regola, spaventosa, che fin da piccolo gli è stata inculcata: «Muoiono tutti!». Ma il resto della sua esistenza sembra insegnare una regola ulteriore, ovvero che questo non rappresenta davvero una fine. E allora eccolo a reimparare il mondo daccapo, rifiutando spiegazioni troppo rassicuranti, come quelle della fisica del vento che muove rami e foglie: «Quell’albero mi ha salutato». La magia è fuga da ogni ordine pacificato e, per questo, inerte; è l’attivazione di forze implacabili che riordinano costantemente una realtà sempre da riscoprire.

Anche crescendo, Frank non è definito da generalità, non è definito dal suo genere, né dai contorni del suo corpo: la franchezza comunicata dal suo nome è tutto ciò che ci si può aspettare da Frank, il quale si divincola da ogni cattura; gli aggettivi nel suo diario in versi sono estremamente rari e sempre perfettamente calibrati. «Non esiste nome che un verbo non possa curare». La sua vita si manifesta, da un brano all’altro, da un verso all’altro, rinnovandosi ogni volta, e disorientando il lettore che pensava di aver imparato a conoscerlo. Così, ora lo incontriamo vittima di una violenza inaudita o mentre si abbandona all’invenzione candida della realtà o anche della propria carne, e subito ci sorprende sprigionando una crudeltà inattesa. Frank si perde, chiede aiuto agli dèi, e appena dopo, per pura noia, sfodera il fucile e spara a chiunque gli si presenti.

Il personaggio di CAConrad nel suo Il libro di Frank (Garganta Press, edizione bilingue inglese / italiano, pp. 320, euro 18.00, traduzione di Luca Dipierro) ha qualcosa di ferino, rendendo indistinguibili ferocia e innocenza: abitando questo margine indiscernibile, Frank è sempre diverso perché non è mai altro da ciò che in quel preciso momento sta compiendo, dalla forma che in quell’istante prende a prestito, usa, incarna, e subito depone per non lasciarsi da essa intrappolare. «Voglio trasferirmi in un’altra città / purché non debba portarmi dietro me stesso». Nemmeno l’amore è davvero il nostro amore: fra Frank e la moglie, è un rapporto in cui i corpi reagiscono strofinandosi, lacerandosi, urtando, aprendo così uno spazio di conoscenza attraverso l’attrito che si produce.

CAConrad ha composto un’esperienza tutt’altro che confortevole. Avviciniamo il piccolo Frank con tenerezza, e siamo immediatamente trafitti da una unghiata che ci costringe alla diffidenza. Ma l’imprevedibilità non è un tradimento: è anzi una spaventosa promessa di spontaneità, perfettamente mantenuta.