Jimmy Kimmel “sospeso” da Abc per una frase pronunciata durante il suo Late night show. Grandi corporation della comunicazione costrette a pagare milioni di dollari per portare a termine le loro strategie imprenditoriali. Giornalisti licenziati. Trasmissioni cancellate. Si fa sempre più rigido il controllo dell’amministrazione Trump su stampa e media. Non è ancora lo scenario da Grande Fratello dipinto da George Orwell in 1984, ma è l’inizio di qualcosa di particolarmente inquietante.

“Abbiamo toccato nuovi minimi nel fine settimana, con la banda Maga che cerca disperatamente di caratterizzare questo ragazzo che ha assassinato Charlie Kirk come qualcosa di diverso da uno di loro, e fa tutto il possibile per ottenerne vantaggi politici”. È questa la frase per cui Jimmy Kimmel, celebre comedian e una delle star degli show TV della notte, è stato messo almeno per il momento a tacere. La decisione è stata presa dai capi di Walt Disney, che controlla Abc, Robert A. Iger e Dana Walden, dopo che il chairman della Federal Communications Commission, Brendan Carr, aveva minacciato rappresaglie. L’intervento di Carr ha spinto una serie di stazioni affiliate di Abc ad annunciare che non avrebbero più trasmesso lo show di Kimmel. Da Windsor, dove si trova in visita di Stato, Donald Trump esulta: “Questa è una gran notizia per l’America”.

Esulta ovviamente anche Carr, l’uomo che ha chiesto la “punizione” per Kimmel. “Questo è un punto di svolta per l’America”, dice ai microfoni dello show dell’ultraconservatore Sean Hannity per Fox News. Carr è un avvocato che ha spesso difeso le grandi corporation su questioni di regolamentazione e che in questi anni si è avvicinato a Trump e alla destra più conservatrice. Quando si è trattato di trovare la persona da mettere alla guida della F.C.C., il presidente ha subito pensato a lui. La scelta, dal suo punto di vista, si è rivelata particolarmente felice. La Federal Communications Commission, agenzia indipendente del governo federale, ha ampi poteri di regolamentazione e controllo e Carr li ha fatti valere. In questa occasione, ha implicitamente minacciato Abc di sospendere la “licenza di trasmissione”, se non ci fossero stati provvedimenti contro Kimmel. Qualcosa di simile era successo lo scorso luglio. Carr diede il via libera alla fusione tra Paramount e Skydance Media solo dopo che Cbs, controllata da Paramount, si piegò a pagare 16 milioni di dollari a Donald Trump, che accusava la rete tv di aver montato in modo “inaccurato” un’intervista a Kamala Harris.

A molti la scelta parve allora sbagliata e pericolosa. L’accusa del presidente non era particolarmente fondata e con ogni probabilità CBS avrebbe finito per prevalere in tribunale. Ma Paramount aveva appunto bisogno del via libera di Carr e della F.C.C., e mettersi contro Trump in tribunale non sembrò assolutamente un’opzione. Il mondo dei media americani è del resto percorso da trasformazioni impetuose. Proprio Paramount Skydance, nata l’estate scorsa, è sul punto di fondersi con Warner Bros grazie all’intervento finanziario della famiglia di Larry Ellison, il fondatore di Oracle, grande donatore delle cause conservatrici, intimo amico di Benjamin Netanyahu. Il figlio di Ellison, David, è ora a capo proprio di Paramount Skydance, che possiede Comedy Central, MTV, BET. La fusione con Warner Bros, che controlla Cnn, Hgtv, Food Network, Tnt, creerebbe un gigante dell’informazione e dell’intrattenimento che non ha precedenti nella storia americana – e che non può realizzarsi senza la benedizione dell’amministrazione Trump. Da notare, ancora, un dettaglio significativo. Proprio Larry Ellison sarebbe in procinto di comprare TikTok.

È questa tenaglia – da un lato gli interessi finanziari e strategici dei grandi conglomerati della comunicazione, dall’altro la scarsa simpatia dell’amministrazione Usa per il dissenso – che sta strangolando la libertà di pensiero negli Stati Uniti. Proprio Abc è stata costretta a pagare 15 milioni di dollari per la futura, solo progettata, “Trump Presidential Library”, dopo che uno dei suoi anchor, George Stephanopoulos, aveva erroneamente detto in onda che Trump è stato ritenuto colpevole di aver “stuprato” la scrittrice E. Jean Carroll (Trump è stato condannato per “abusi sessuali”). Ancora Cbs ha cancellato, dal maggio prossimo, The Late Show with Stephen Colbert. Il programma esiste dal 1993 – prima di Colbert lo conduceva David Letterman. La rete afferma che nella scelta non c’è alcuna volontà censoria ma solo la presa d’atto dei tempi che cambiano e della necessità di adeguarsi alle nuove abitudini e gusti del pubblico. Stephen Colbert, che ha qualche giorno fa trionfato agli Emmy Awards, è però tra i critici più feroci del presidente e secondo molti il suo piglio polemico ha contato nella decisione di cancellarlo dal palinsesto. Va anche notato che, all’arrivo della notizia della sospensione per Kimmel, proprio Colbert ha ringraziato il collega per aver “fatto campagna” a suo favore, presso gli elettori degli Emmy, consentendogli di ottenere il premio come migliore “talk” della tv americana.

Mentre si cementa la solidarietà tra epurati, arrivano altre notizie non esattamente confortanti. Ancora Trump ha denunciato il New York Times e quattro suoi giornalisti per una serie di articoli che ne avrebbero messo in discussione “la reputazione personale, politica e come uomo d’affari”. Il Washington Post, sotto la guida ormai molto allineata e pro-Trump di Jeff Bezos, ha licenziato una delle sue opinioniste, Karen Attiah, che in un paio di post sui social ha denunciato la violenza delle armi e il “doppio standard razziale” della destra americana nel denunciare l’assassinio di Charlie Kirk. Stessa sorte, il licenziamento, per Matthew Dowd, analista politico di MSNBC, che in onda ha rilevato il carattere “divisivo” di Kirk.

Proprio la morte dell’attivista conservatore sta diventando un’occasione per purghe che vanno ben al di là di giornali e TV. Home Depot e American Airlines hanno licenziato propri dipendenti responsabili di opinioni critiche o insultanti per Kirk. E in queste ore le società che possiedono le piattaforme social più diffuse – Meta, TikTok, X – si trovano a sostenere attacchi e pressioni della destra, che chiede di eliminare tutto ciò che mette in discussione il verbo ufficiale del governo sull’attivista ucciso. È stato proprio Donald Trump a chiedere che le bandiere a stelle e strisce di tutta America venissero issate a mezz’asta per ricordare il suo amico e collaboratore. Quelle bandiere rischiano di calare oggi anche sul più celebrato valore americano. Il Primo Emendamento.