Nel duello sull’auto elettrica dal 2035 l’Europa gioca a Rischiatutto. La posta in palio è l’intera politica climatica europea da qui al 2050, quando si è impegnata a raggiungere le emissioni nette zero. Vediamo di capire perchè.

Con due artifizi retorici (ma sarebbe meglio definirli semplicemente “frasi fatte”) l’industria automobilistica e i decisori politici europei, da Ursula von der Leyen a Mario Draghi proprio l’altro ieri, si sono riallineati sul campo di battaglia delle auto a zero emissioni dal 2035.  Sono “neutralità tecnologica” e “approccio pragmatico“. Suonano bene, ma non vogliono dire nulla.

Neutralità tecnologica e approccio pragmatico? Armi retoriche di distrazione di massa

La neutralità tecnologica c’è già. Nessun documento ufficiale la nega: Bruxelles stabilisce semplicemente che dal 2035 potranno essere immatricolate nell’Ue solo auto a zero emissioni allo scarico. Peccato che oggi una sola tecnologia lo consenta: quella elettrica. Infatti nessun car maker ha ancora messo sul mercato un’auto termica “tecnologicamente neutrale”, cioè alimentata a biocarburante, e-fuel o idrogeno (e chi ne ha lanciata una a idrogeno fuel cell l’ha venduta in quantità omeopatiche).

auto 2035Le auto a carburanti alternativi a zero emissioni? Ma chi le ha viste?

Al contrario, tutte le case auto europee hanno già una gamma intera di collaudate auto elettriche, vendute a decine di migliaia anche in Europa. E’ un mercato che ne ha assorbite complessivamente 1,9 milioni l’anno scorso e, con una crescita del 25% da gennaio a luglio, potrebbe raggiungere 2,5 milioni di unità a fine 2025. Nel mondo siamo a quasi 18 milioni, di cui circa 7 solo in Cina.

L’approccio pragmatico è addirittura una barzelletta, seppur ben raccontata. Cosa c’è di più pragmatico che  rimboccarsi le maniche per fare il possibile contro una catastrofe imminente? Forse perder tempo e rinviare, sperando nello stellone?  Oppure pretendere di poter produrre auto che non ci sono?

Tutti sanno che entrambi gli artifizi sono armi retoriche di distrazione di massa. Compresi coloro  che li hanno coniati e chi, ripetendoli ogni giorno, è riuscito ad imporli nei documenti ufficiali così come nei peggiori bar di periferia.

Avendo ancora un minimo di sale in zucca, quindi, dovremmo chiederci: da cosa vorrebbero  distrarci? Dal vero obiettivo, ovviamente: far saltare del tutto la tagliola del 2035 per il trasporto leggero. Poi via via la  strategia climatica europea del Green Deal nel suo insieme e, alla fine, l’Accordo di Parigi che impegna i 197 Paesi aderenti all’Onu ad azzerare le emissioni nette di carbonio entro il 2050.

Trump non ne ha bisogno: la sostenibilità è “woke”. Ma in Europa l’ambientalismo si demolisce sottovoce

Negli Stati Uniti di Donald  Trump ogni ipocrisia è già saltata da un pezzo: la sostenibilità è ormai “woke”, la Casa Bianca sprona i petrolieri a “drill, baby drill”, un decreto presidenziale proibisce di diffondere dati sulla crisi climatica e Washington si è già ritirata dall’Accordo di Parigi firmato nel 2016. Ma lì Elon Musk e la Nasa stanno pianificando la fuga su Marte – per i pochi che potranno permettersela – e se, continuando così, la Terra andrà arrosto entro il 2100, come prevede il 99% degli scienziati, saranno fatti altrui. Si scioglieranno i ghiacci in Groenlandia e in Antartide, allagando tutte le città costiere del globo? Poco male. Anzi, un’ottima occasione per sfruttare le risorse minerarie di questi immensi territori e accumulare altre ricchezze che serviranno a finanziare le spedizioni delle navicelle Starship di SpaceX. E’ uno scenario che il recente film “Don’t Look Up” ha rappresentato come meglio non si potrebbe.

auto 2035

Ma l’Europa, che ancora ha qualche sussulto di orrore per ciò che accade a Gaza e di sdegno per l’aggressione russa in Ucraina, non è pronta ad ingoiare  il rospo del negazionismo più sguaiato. Qui l’ambientalismo va demolito sottovoce: prima a parole, poi foglia dopo foglia, con la “politica del carciofo” di Cavour.   Chi lo pratica è “gretino”, “radical chic”, “ambientalista da ZTL”. Gli obiettivi climatici Ue sono “ideologici”. Raggiungerli è “irrealistico”.  Così facendo i potentati dell’automotive europea e degli idrocarburi, pur continuando a dirsi impegnati nella decarbonizzazione,  hanno già ottenuto il rinvio di due anni del passaggio a Euro 7, la sterilizzazione delle multe per il mancato rispetto dei limiti di emissione, i dazi all’import di auto elettriche a buon mercato cinesi, il via libera ai carburanti alternativi in quanto  a “zero emissioni”. Stanno prendendo tempo.

Di rinvio in rinvio, il tempo serve solo ad accumulare profitti. Finchè fra un anno o due…

Come l’hanno utilizzato? Male. Non hanno moltiplicato gli sforzi per recuperare il  terreno perduto rispetto alla concorrenza cinese, magari premendo per un supporto più attivo dell’Europa e dei governi nazionali, come proponeva Draghi un anno fa.

E’ servito invece a:
-posticipare gli investimenti nella transizione
-rallentare con ogni mezzo la diffusione delle auto elettriche (quando proprio un mercato interno ampio, con le relative economie di scala, avrebbe consentito di abbattere i costi e ammortizzare gli investimenti, la Cina insegna)
trarre profitto fino all’ultimo euro dalla vendita dei loro diesel e benzina. Aumentandone addirittura il prezzo.

L’e-car  europea di massa che oggi chiede l’Europa poteva arrivare anni fa, e oggi ancora non c’è.

Di questo passo fra un anno o due ci diranno che rispettare il target delle auto ad emissioni zero nel 2035 sarà impossibile e basta. Se non al prezzo dell’invasione elettrica cinese e del sacrificio di milioni di lavoratori. A quel punto, quando non mancheranno più 15 anni alla scadenza fissata nel 2022 ma 8 soltanto, sarà davvero così.

Smantellare ogni vincolo 2035 non sarà più un tabù e nemmeno una scelta, ma solo la condizione per sopravvivere. Per quanto ancora, lo si vedrà. Ma le lobby petrolifere non si dispiaceranno troppo per la loro profezia che si autoavvera.

La delusione di Draghi, l’equilibrismo di Ursula, il giro di fumo che viene da Francia e Germaniaauto 2035Ursula von der Leyen

Mario Draghi ha invitato il sistema Europa a «difendersi e resistere» in un mondo in cui le regole del mercato sono state stravolte. Quindi anche l’ex numero uno della BCE si è allineato e ha chiesto più flessibilità. Lo stimiamo troppo per pensare che sia in malafede. Preferiamo credere alla delusione perchè un anno esatto è passato dal suo Rapporto sulla competitività europea e solo l’11% delle sue raccomandazioni si sono tradotte in fatti concreti.

La Commissione di Ursula von del Leyen cammina sul  crinale stretto e ripido del compromesso, con il baratro della sfiducia da entrambi i lati. Da uno, le forze di centrodestra della sua coalizione che sostengono le ragioni dell’industria auto tedesca. Dall’altro, Verdi e Alleanza Progressista che pongono un veto su qualsiasi passo indietro in tema di ambiente. A sua volta la von der Leyen prende tempo nell’attesa che qualcosa si chiarisca, in un senso o nell’altro, nel guazzabuglio della politica europea. Per esempio in Francia.

Oggi a Bruxelles si incontreranno i ministri dell’Ambiente dell’Unione per cercare di sbloccare l‘impasse su due pressanti nuovi obiettivi climatici. Quello al 2035 (-72,5% di emissioni anche grazie al ban ai motori termici), cioè l’impegno climatico (l’NDC dell’Unione Europea) da presentare alla COP 30 che si aprirà l’11 novembre in Brasile. E quello al 2040 (-90%), fondamentale per rendere credibile la traiettoria verso la neutralità climatica al 2050. L’accordo, che sembrava raggiunto, è stato bloccato da Germania, Francia e Polonia. Tutti e tre per ragioni diverse, ma più che ovvie. Il nodo auto gioca un ruolo importante, ma non è l’unico da sciogliere in vista della decisione finale che sarà presa dai capi di Stato europei il 23 ottobre. Da Bruxelles, comunque sia, arriverà oggi una prima indicazione sul giro di fumo. 

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