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In queste settimane la partenza della Global Sumud Flotilla, la più grande iniziativa indipendente per portare cibo e altri beni essenziali ai civili nella Striscia di Gaza, è stata rimandata più volte. Le barche della spedizione italiana avrebbero dovuto salpare dalla Sicilia il 4 settembre, poi il 7, poi l’11 e infine il 13, per incontrarsi con quelle provenienti dalla Tunisia e dirigersi poi insieme verso Gaza: nei piani iniziali, l’idea era arrivare verso la metà di settembre. Però le barche sono ancora ferme in Sicilia, per diverse ragioni: c’entrano innanzitutto gli attacchi incendiari subiti da due barche della Flotilla in Tunisia, ma anche le condizioni meteorologiche nel mar Mediterraneo e una serie di difficoltà logistiche e organizzative.

È normale che l’organizzazione della Flotilla non sia perfetta: la spedizione non è coordinata da un governo o da una grande associazione, ma è nata dalla collaborazione di tre organizzazioni e si basa sulla partecipazione volontaria di attivisti e attiviste, professionisti, alcuni giornalisti e politici da 44 paesi del mondo. Le barche sono in tutto 49, provengono dalla Spagna, dalla Tunisia, dall’Italia e dalla Grecia. La portavoce della Flotilla italiana, Maria Elena Delia, dice che queste difficoltà sono in parte «fisiologiche» e che per così tante barche «la logistica è complicata».

Al momento le 25 barche provenienti dalla Tunisia sono arrivate in Sicilia, nel porto di Portopalo di Capo Passero, nella punta sudorientale dell’isola, dove le stavano aspettando le 17 barche della missione italiana. Lì c’è anche la nave Life Support di Emergency, solitamente usata per soccorrere persone migranti nel mar Mediterraneo, che in questo caso servirà a offrire eventuale sostegno medico e logistico alle barche della Flotilla. Cinque barche sono infine salpate dalla Grecia e altre due stanno navigando nel canale di Sicilia. Il piano è incontrarsi in un certo punto del Mediterraneo (non è stato detto quale) e procedere insieme verso Gaza per provare a superare il blocco navale imposto da Israele.

È un obiettivo in realtà quasi impossibile, e dal significato principalmente politico: l’esercito israeliano non consente ad alcuna imbarcazione non autorizzata nemmeno di avvicinarsi alle coste della Striscia, di cui controlla tutti i confini, e ostacola e blocca in molti modi l’ingresso di tutti i beni essenziali.

La decisione iniziale di posticipare la partenza delle barche italiane, fissata per il 4 settembre, era dipesa dal ritardo accumulato dalle barche che partivano da Barcellona, che per diversi giorni erano rimaste ferme a causa di una tempesta. Le condizioni meteorologiche sono dirimenti per la flotta della Global Sumud Flotilla, composta da barche a vela e barche di piccole dimensioni. Quelle della spedizione italiana, per esempio, sono lunghe dai 12 ai 16 metri e sono in grado di reggere a lungo navigazioni in mare aperto, ma difficilmente potrebbero affrontare una tempesta. Giovedì mattina c’è stata una riunione tra i vari coordinatori degli equipaggi tunisini, spagnoli e italiani proprio per capire se le previsioni dei prossimi giorni consentano alle barche di partire.

Sostenitori della Global Sumud Flotilla nel porto di Sidi Bou Said, in Tunisia, 10 settembre 2025 (Hasan Mrad/ZUMA Press Wire/ANSA)

Gli organizzatori della Flotilla dicono però che gli episodi più gravi che hanno fatto posticipare la partenza sono stati quelli avvenuti l’8 e il 9 settembre, quando due congegni incendiari hanno causato un principio d’incendio su due barche della Flotilla mentre erano alla fonda al largo del porto di Sidi Bou Said, in Tunisia. Non ci sono stati feriti e i danni sono stati minimi, ma tutto fa pensare che gli attacchi siano stati condotti con un drone che portava un ordigno incendiario semiartigianale e che l’obiettivo fosse quello di incendiare le due barche, distruggerle, e intimidire l’intera flotta.

– Leggi anche: Tutto lascia pensare che per colpire le barche della Flotilla siano stati usati due piccoli droni

In seguito agli attacchi le barche spagnole che erano arrivate in Tunisia da Barcellona e quelle in partenza da lì si sono spostate nel porto di Bizerte, nel nord del paese. Lo spostamento ha richiesto un giorno e mezzo di navigazione. Nei comunicati dei giorni successivi in cui aggiornava sulla missione, la Global Sumud Flotilla ha spiegato gli ulteriori ritardi parlando di «carenza di carburante» (ma non è chiaro a cosa fosse dovuta) e «ostacoli logistici». Tra questi c’è stata anche la lunga procedura per i controlli con la polizia di frontiera a Bizerte, dove le persone erano molte e l’ufficio operativo soltanto uno. È servito un altro giorno e mezzo per completare le pratiche.

A causa del ritardo accumulato dalle barche in Tunisia, le barche che sabato pomeriggio erano partite dal porto di Augusta, in Sicilia, hanno dovuto fermarsi a Portopalo nella notte tra sabato e domenica.

I giorni di attesa in Sicilia sono stati usati per completare la formazione degli equipaggi e verificare ancora lo stato delle barche. Anche sulla Life Support di Emergency sono stati caricati tutti i beni di prima necessità, comprese le scorte di acqua, ed è stato sistemato l’ambulatorio. Luca Radaelli, infermiere a bordo della Life Support, spiega che il loro equipaggio è composto da 29 persone, tra staff marittimo, soccorritori e membri di Emergency, medici e infermieri. «Noi non romperemo il blocco navale. Resteremo in acque internazionali e saremo a disposizione delle barche della Flotilla», dice.

Nel frattempo alcune barche della flotta italiana sono state ritenute poco sicure dagli organizzatori e si è deciso di non farle salpare. Di conseguenza, spiega Delia, alcuni equipaggi sono stati ridotti visto che le barche possono ospitare mediamente dalle 6 alle 10 persone. Alcune persone hanno invece scelto di non partire volontariamente. Delia dice che la decisione di una di loro è dovuta a motivi personali, quella di altre all’esaurimento dei giorni di ferie a disposizione, visto che la partenza è stata posticipata. Specifica comunque che questi casi sono stati pochi, al massimo cinque.

Domenica poi l’attivista Greta Thunberg ha lasciato la Family, la barca che ospita il comitato degli organizzatori, e si è spostata sulla Alma (sono le due barche che erano state attaccate la scorsa settimana). Thunberg partecipa ancora alla missione come attivista, ma non fa più parte del comitato direttivo: non ha spiegato perché, ma sul Manifesto il giornalista Lorenzo D’Agostino – che è sulla Flotilla – ha scritto che c’entrerebbero delle divergenze sul modo di comunicare la missione.

Lunedì l’organizzazione genovese Music for Peace ha fatto sapere che il suo presidente, Stefano Rebora, avrebbe lasciato le barche e sarebbe tornato a Genova per organizzare un corridoio umanitario via terra, per far arrivare nella Striscia di Gaza 300 tonnellate di cibo raccolte a Genova (solo 40 sono state caricate sulle barche, su 500 totali: tutte non ci stavano). Music for Peace ha specificato che la decisione è stata presa in accordo con la Flotilla. «Noi sentiamo il dovere etico di far arrivare questo cibo a Gaza», dice Rebora. Le restanti tonnellate di cibo raccolto saranno spedite in Sudan, distribuite in pacchi alimentari a 600 famiglie genovesi e usate per i pasti per le persone senza fissa dimora.

Ai problemi più pratici e organizzativi va aggiunto il fatto che nelle scorse settimane il ministro israeliano per la Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir (noto per le sue posizioni estremiste e ostili alla popolazione palestinese) ha presentato al governo una proposta per poter imprigionare i membri della Flotilla per questioni di sicurezza, il che potrebbe comportare per loro settimane di detenzione in Israele. A causa di tutte queste ragioni, domenica il direttivo della Flotilla ha scritto in un comunicato di aver deciso di ridurre il numero dei partecipanti alla missione. Quelli sulle 17 barche della Flotilla italiana sono 165, mentre sulle 25 barche provenienti dalla Tunisia sarebbero più di 150.

Delia dice che nonostante le varie difficoltà di queste settimane l’umore delle persone a bordo delle barche italiane è molto buono: «È ovvio che ci sono stati momenti di tensione e preoccupazione, ma gli equipaggi sono molto uniti e i capitani sono persone straordinarie». La portavoce aggiunge poi che il «punto fondamentale di questa missione è Gaza, dove c’è il finimondo», e non i ritardi della Flotilla. «Noi siamo ovviamente imperfetti, ma per due anni i governi non hanno fatto niente: i loro, di ritardi, dove li mettiamo?».

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