Prima la diagnosi, poi l’intervento chirurgico, ora i controlli regolari, ogni sei mesi. A raccontare la malattia che ha colpito Bjorn Borg è lo stesso ex tennista svedese nella sua autobiografia. Intitolata Heartbeats, in italiano tradotto con Battiti (Rizzoli), è uscita il 18 settembre 2025 in Europa e negli Stati Uniti, ed è scritta a quattro mani con la terza moglie, Patricia. Parla dei successi del campione sui campi, delle sconfitte nella vita privata – tra amori ed eccessi – ma soprattutto della partita più difficile da giocare: quella contro il tumore alla prostata.
Bjorn Borg e il tumore alla prostata
Il campione, oggi 69enne, ha dunque raccontato la sua vita, tra alti e bassi. Una carriera nota alla maggior parte dei tifosi e degli appassionati di tennis, così come ai frequentatori del mondo del gossip, complici le frequentazioni di personaggi come Andy Warhol o il matrimonio con Loredana Bertè che, a sua stessa detta, lo salvò dall’abuso di sostanze stupefacenti. Ma ora per l’ex atleta si presenta la sfida forse più difficile, iniziata con la diagnosi di cancro alla prostata. “Il medico mi ha chiesto quanto volessi vivere. Gli ho risposto: per sempre non si può, ma qualche anno ancora sì. E lui: allora deve operarsi al più presto. E così sono andato dritto in ospedale. Ora faccio controlli ogni sei mesi”, spiega Borg nel suo libro.
Cos’è il tumore alla prostata
Il tumore alla prostata è il più frequente tra le malattie oncologiche nella popolazione maschile, come quello alla mammella lo è tra le donne. Secondo le stime del rapporto AIOM-AIRTUM nel 2024 si sono registrati poco meno di 40.200 nuovi casi (esattamente 40.192). Sono, invece, 485.000 gli uomini in vita in Italia dopo una diagnosi di tumore della prostata. Nel 2022 si sono stimati 8.200 decessi: il tasso di sopravvivenza è calcolato al 91% a 5 anni dalla diagnosi, con una probabilità di vivere ulteriori 4 anni, “condizionata ad aver superato il primo anno dopo la diagnosi pari al 94%”, come spiega la Fondazione.
I sintomi della malattia
“Un cancro alla prostata molto aggressivo. Invito tutti gli uomini a fare prevenzione perché è un tumore silenzioso”. Così Bjorn Borg, in una intervista a Repubblica in occasione dell’uscita del suo libro. Anche gli esperti confermano che non sempre i sintomi sono chiari. Secondo Saverio Cinieri, presidente di AIOM, “possono esserci campanelli d’allarme più evidenti, ma occorre attenzione perché possono essere confusi con quelli della IPB, ossia l’Iperplasia Prostatica Benigna, che consiste in un ingrossamento non canceroso della prostata, comune negli uomini con il passare degli anni. In genere il sintomo più frequente è la necessità di urinare di notte, non una sola volta, ma almeno due o tre. Si può unire anche un senso di peso a livello perineale e, più raramente, il dolore”.
Come è cambiata la diagnosi
Fino a qualche tempo fa, i protocolli in uso per la diagnosi precoce, soprattutto nel mondo anglosassone, prevedevano di sottoporre pressoché tutta la popolazione maschile a rischio, in età più avanzata, al test PSA, che misura l’antigene prostatico specifico, una sostanza prodotta dalla ghiandola prostatica. Oggi, invece, non è più consigliabile come modalità di screening di massa: “Se si avverte questa sintomatologia, si consiglia una visita urologica, che può prevedere una esplorazione rettale. Se il medico riscontra una prostata aumentata di volume, potrebbe anche prevedere specifici esami radiologici per definire meglio la situazione e, in caso, anche una biopsia”. Il test PSA, invece, non viene più ritenuto un esame di routine, soprattutto in assenza di sintomi, perché in passato ha portato a trattare delle comuni prostatiti come tumori alla prostata, arrivando anche a interventi chirurgici non sempre necessari.
Le terapie più comuni
La Fondazione Veronesi ricorda: “Il trattamento del tumore della prostata dipende dallo stadio della malattia, dall’età e dallo stato generale del paziente. Le opzioni terapeutiche includono chirurgia, radioterapia, ormonoterapia e chemioterapia. Dal momento che in alcuni casi il tumore prostatico ha un decorso non aggressivo ed estremamente lento, in queste situazioni si opta per una ‘attesa vigile’, monitorando la malattia senza interventi”. L’asportazione dell’organo non è sempre necessaria. Di fronte a una diagnosi acclarata di tumore alla prostata a basso indice proliferativo, quindi di livello 3, non si procede con intervento chirurgico, bensì proprio la ‘vigile attesa’. Naturalmente vanno presi in considerazione diversi fattori come l’età, la sintomatologia, le condizioni generali del paziente e anche l’aspetto psicologico. Ma ci sono anche molte terapie innovative a disposizione: si tratta di farmaci nuovi, così numerosi che a volte ci si può trovare anche in una situazione di difficoltà nella scelta. Ci sono comunque percorsi radioimmunologici, non solo chemioterapici, che si usano sempre più raramente”, chiarisce ancora Cinieri.
Come cambia l’età di insorgenza
In passato i casi di tumore alla prostata erano registrati soprattutto negli ultra settantenni: oggi l’età media di insorgenza si è abbassata, anche a 55-60 anni. Questo comporta maggiore attenzione delle terapie, dato il rischio di recidive connesso all’allungamento dell’aspettativa di vita. Gli esperti, per questo, raccomandano di puntare sulla prevenzione primaria, ossia seguendo un corretto stile di vita. Tra i fattori che possono influire sulla comparsa di questo tipo di tumore ci sono infatti obesità e sovrappeso, dieta troppo ricca di grassi “e lontana da quella Mediterranea”, come sottolinea Cinieri, e poi fumo e alcol, insieme a una vita troppo sedentaria. Il caso di Bjorn Borg ha sicuramente riacceso l’attenzione sulla patologia, con la speranza che il suo messaggio possa essere importante per molti.