Non sareste rimasti dove eravate prima? Vuole dire che la vostra vita è stata segnata non dalla malattia, ma dalla presenza.
«Non è stata segnata dalla malattia, dal dolore, ma è stata segnata dal trovare, dallo scegliere, dal capire, forse anche quali sono le cose importanti, perché è vero che tutti lo sappiamo, che la nostra vita non è infinita, però quando ti ci trovi davanti è diverso».
C’è stata la paura nella vostra vita?
«La paura è entrata, entra, ma come entra la faccio anche uscire, perché non ti porta da nessuna parte, ci volo sopra. Tanta è la paura di non riuscire a seguire tutto il medici, i figli, di perdere tutto, però poi allo stesso tempo devi trovare un modo di andare oltre tutto questo, perché altrimenti non sarebbe più vita, non ti muoveresti più. Se penso a tutte le cose fantastiche, straordinarie che abbiamo fatto con Cesare, se avessi avuto paura, se mi fossi fermata, non avrei potuto creare ricordi ed emozioni per gli altri due figli».
Si sente esempio?
«Quando mi chiedono un consiglio, non lo faccio mai. Ognuno cammina con le proprie scarpe, ognuno ha il proprio bagaglio, il proprio zainetto da portare, ognuno di noi ha dentro le sue cose e sa come si deve muovere. Quello che io invece spero, che tante volte vedo e che mi fa piacere, è il fatto di sentir dire: “Se ce l’ha fatta lei, se ce l’hanno fatta loro, ce la possiamo fare anche noi”. Quando qualcuno mi dice che, nei momenti di difficoltà, pensa a quello che farei io, questa è una cosa che chiaramente mi riempie di orgoglio, perché vuol dire che un messaggio positivo è arrivato».
Utilizza la metafora della maratona nel libro.
«Userei adesso l’immagine della clessidra, quando la giri c’è la sabbia che scende e quando è finita da una parte la si rigira e comincia una vita diversa, però hai tutta quella sabbia, non è buttata via, è sempre lì con te. Guidare la testa è la cosa più difficile, perché è come avere un cavallo pazzo da manovrare. Mi è capitato, in questi mesi, e mi capita di sprofondare, di avere quei momenti dove dico ma come faccio a vivere senza mio figlio e poi il modo si trova sempre. Io mi racconto, racconto la mia storia per cercare di essere d’aiuto in qualche modo agli altri. La verità è che se io avessi avuto quella comunità, quei punti di riferimento, se avessi trovato le persone che mi ascoltavano, se avessi trovato quella guida, non avrei mai aperto le mie pagine social, tantomeno pensiamo a scrivere i libri. Il senso di comunità che abbiamo perso, l’esserci, il starci vicino, il tendere una mano, reimparare come si fa, parte dalle piccole cose, dall’aiuto al vicino di casa».