Un cartello degli attivisti israeliani per la pace lasciato al confine con la Striscia di Gaza

Un cartello degli attivisti israeliani per la pace lasciato al confine con la Striscia di Gaza – Ansa

«Le forze israeliane continueranno le loro operazioni con una forza senza precedenti. Invitiamo la popolazione a unirsi alle centinaia di migliaia di residenti che sono stati evacuati nella zona umanitaria del sud». Il comunicato del colonnello Avichay Adraee, portavoce in lingua araba delle forze armate israeliane, si è subito tradotto in realtà: sono 15 le persone uccise ieri a Gaza City, 29 in tutta la Striscia, decine i feriti.
La stentorea affermazione lascia immaginare alle persone che non possono o non vogliono partire ulteriori stadi dell’apocalisse, e ha un obiettivo chiaro: contagiare di terrore chi esita ancora nella città per potere procedere senza troppe complicazioni diplomatiche con l’operazione di terra, pianificata per ottenere una vittoria definitiva su Hamas. Non esistono dubbi sulla capacità israeliana di incenerire definitivamente la capitale della Striscia. «In soli cinque giorni 11 strutture dell’Onu che servivano come rifugi per circa 11.000 persone a Gaza City sono state danneggiate. Nell’ultimo mese sono 200.000 i nuovi sfollati dal nord al sud di Gaza, 56.000 solo da domenica», ha dichiarato Stephane Dujarric, portavoce del segretario Onu Guterres. Le perplessità nascono invece intorno al concetto di vittoria. Secondo le stime dell’esercito di Tel Aviv, circa 480.000 palestinesi sono finora fuggite da Gaza City, dirigendosi verso il sud della Striscia:metà dei residenti secondo i militari.
Hamas, che sminuisce il numero degli evacuati e cerca anche con la minaccia di rallentare l’emorragia verso il sud, non è più la forza strutturata di due anni fa. I 7.500 miliziani rimasti secondo i servizi israeliani dentro la città sono diffusi in tutti i quartieri in piccole cellule organizzate per brevi operazioni di assalto e ritirata, sempre più spesso in abiti civili.
L’intelligence ha calcolato che in tutto il territorio dell’enclave il numero complessivo dei guerriglieri sia di 15.000. Si nascondono anche a Deir el-Balah, al-Mawasi e Rafah, come ha dimostrato la morte di quattro soldati israeliani, uccisi giovedì da un ordigno artigianale. La letalità delle tanto conclamate “zone sicure del sud”, dove mancano cibo, medicine, spazio e tende, è soprattutto nella morte quotidiana dei civili palestinesi.
Ieri due bambini sono stati uccisi in una tendopoli di Khan Yunis, bombardata dai caccia. Due morti e numerosi feriti a Deir el-Balah e nel campo profughi di Nuseirat. Ci sono poi i 20 ostaggi ancora in vita, che Hamas può muovere a piacimento. È ingenuo pensare che i commando israeliani possano estrarli vivi dai tunnel. Gaza oggi è una grande trappola senza uscita, per tutti. Forse per questo la settimana scorsa il premier Netanyahu ha discusso, durante un incontro con un gruppo ristretto di ministri, l’ipotesi di permettere ai gazawi, via nave e aereo, la «partenza volontaria». Intanto, il valico di Zikim, che permetteva il flusso di aiuti nel nord e a Gaza City, aree per cui l’Onu ha dichiarato ufficialmente la carestia, è stato chiuso il 12 settembre. Ieri Israele ha sbarrato fino a nuova comunicazione anche il valico di Allenby al confine con la Giordania.
La decisione segue l’uccisione di due soldati israeliani da parte di un uomo giordano che guidava, con regolare permesso, un camion di aiuti diretto a Gaza. Chiuso anche il Jordan River Crossing, a nord. Sono quattro in media le persone che muoiono ogni giorno per cause legate alla malnutrizione.
La trappola senza uscita è anche diplomatica: «La dichiarazione ufficiale di carestia ha utilizzato una metodologia errata», ha affermato ieri Morgan Ortagus, l’ambasciatrice Usa all’Onu, opponendo per la sesta volta il veto a una risoluzione del Consiglio di sicurezza che chiedeva l’immediato cessate il fuoco a Gaza e il rilascio degli ostaggi. La risoluzione, ha aggiunto Ortagus, «non condanna Hamas né riconosce il diritto di Israele a difendersi, e legittima ingiustamente le false narrazioni a beneficio di Hamas».
Tutti gli altri 14 membri hanno votato a favore. E a testimoniare il clima ingenerato da Trump e definito «scandaloso» da Mosca, alla fine il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, potrà intervenire solo in video-collegamento (dopo che gli Usa gli hanno negato il visto), all’Assemblea generale dell’Onu la prossima settimana quando Francia, Gran Bretagna e Australia riconosceranno lo Stato palestinese.