Professore universitario, è morto a 81 anni. Ha inventato il moderno servizio sanitario delle gare, integrandolo con rianimazione e radiologia. Applicò per la prima volta in Italia, al Giro 2020, lo screening del gruppo con i tamponi veloci


Luca Gialanella

Giornalista

20 settembre 2025 (modifica alle 10:03) – MILANO

Ha rivoluzionato il servizio medico nelle corse di ciclismo e unito la sua profonda umanità a capacità tecniche di grande valore. Se i corridori adesso sono seguiti in gara da ambulanze e auto mediche con a bordo rianimatori e ortopedici, e al traguardo trovano anche un van attrezzato per effettuare immediatamente le radiografie, il merito è stato del professor Giovanni Tredici, per tutti “il Prof” del Giro d’Italia e delle corse di Rcs Sport. Tredici è morto venerdì all’ospedale Fatebenefratelli di Milano a 81 anni. Con lui l’assistenza medica è diventata altamente professionale, perché Tredici è stato capace di creare una vera squadra di medici e infermieri, con protocolli rigidissimi di intervento che hanno fatto scuola. Il suo concetto di servizio medico, sviluppato in Italia, ha consentito di far fare al ciclismo un salto verso la massima sicurezza in corsa. 

carriera—  

Professore ordinario di Anatomia all’Università Statale di Milano e poi alla Bicocca, Tredici ha guidato dal 1982 l’assistenza medica del Giro. Grande appassionato di ciclismo, ha fatto parte dell’equipe Enervit al fianco di Francesco Moser per il doppio record dell’Ora in Messico nel 1984. I suoi capelli bianchi e la voce da uno di famiglia ci hanno accompagnato per decenni, e non c’era corsa o giorno in cui non passavamo davanti alla sua ammiraglia bianca per un saluto al Prof, per scambiare qualche battuta e ricevere informazioni preziose. Tredici, illustre accademico con numerosi saggi pubblicati, è stato una delle figure chiave del gruppo rosa, e ha condiviso questa responsabilità con il dottor Massimo Branca, al suo fianco per 43 anni. Nella struttura medica è entrato da tempo anche il figlio Stefano, traumatologo, e pure la figlia Paola ha partecipato a numerose gare. Il funerale si svolgerà lunedì 22 settembre alle 9 nella Chiesa di Santa Maria dell’Incoronata in corso Garibaldi 116 a Milano. 

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Ma c’è stato un momento in cui Tredici è stato più di altre volte decisivo per la sicurezza sanitaria dei corridori, e questo lo considerava un grande orgoglio, forse la sua più grande vittoria. Abbiamo vissuto con lui quei momenti, giorno dopo giorno. Era il Giro d’Italia 2020, che si corse nell’era del Covid dal 3 al 25 ottobre. Del coronavirus e della sua diffusione allora si sapeva poco. C’era un piano di tamponi molecolari naso-bocca che il Centro Diagnostico Italiano di Milano effettuava su tutti i componenti della carovana. I risultati arrivavano in 24 ore, ma Tredici aveva capito che stavolta non bastava: bisognava essere più rapidi e più veloci per individuare chi fosse portatore del virus e quindi isolarlo immediatamente, al di là della carica virale, per evitare che contagiasse altre persone. Da qui l’idea di utilizzare per la prima volta in modo così ampio i tamponi antigenici rapidi, quelli che davano la risposta in pochi minuti: serviva uno screening immediato, perché si parlava di salute pubblica, non soltanto di una corsa ciclistica. “Uno sforzo eccezionale, fatto apposta per il Giro e per la sua importanza a livello mondiale. Questo resta un esempio anche per altri sport su come affrontare il problema. Con metodiche meno complicate e costose, il tampone antigenico ricerca una proteina che si lega al coronavirus e determina la reazione immunitaria nell’organismo. Il risultato arriva in 5’: se positiva, la persona verrà sottoposta subito al tampone molecolare standard Rt-Pcr, che richiede un’ora di elaborazione ed è molto più sensibile a conservazione, trattamento, trasporto ed esposizione alle temperature. Se gli esiti non concordano, si darà preferenza al tampone molecolare, che è il riferimento”: così disse Tredici alla Gazzetta. 

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Dobbiamo dire che non furono poche, allora, le discussioni con l’Uci, la federciclismo mondiale, che non riconosceva la validità dei tamponi rapidi. Ma non era questo il punto, e alla fine l’idea di Tredici vinse: perché era fondamentale uno screening a tappeto in tempi rapidissimi, servivano misure sanitarie eccezionali per garantire la protezione della bolla anti Covid-19 di squadre e corridori. Così il Giro riuscì a effettuare circa ottomila tamponi grazie alle undici squadre di medici/infermieri volute da Tredici. La corsa rosa svolse un ruolo da pioniere in Italia, visto che i tamponi antigenici erano stati introdotti appena dal 5 settembre. Il piano di Tredici era questo: tamponi molecolari nei giorni di riposo, poi screening totale delle squadre con tamponi antigenici veloci, un giorno di stop, e ancora un nuovo ciclo di tamponi rapidi per tutti. Se ci fosse stato un esito dubbio dal primo test, subito un nuovo tampone molecolare, chiamato “di riferimento”. Le squadre si sono fidate e alla fine sono state loro stesse a chiedere allo staff sanitario del professor Tredici di essere controllate tutti i giorni, una volta con il tampone molecolare e un’altra con quello rapido. Così, mentre l’Italia si colorava di zone rosse e stava per iniziare l’autunno-inverno 2020-2021, periodo tragico per il Covid nel nostro Paese, il Giro è riuscito ad arrivare in piazza del Duomo a Milano.