Gianfelice Facchetti si è concesso in una lunga intervista a “La Repubblica”. Inevitabile toccare anche l’argomento Calciopoli
Gianfelice Facchetti si è concesso in una lunga intervista a “La Repubblica”. Inevitabile toccare anche l’argomento Calciopoli.
Come fu rivivere suo padre in quel modo? Temeva che avrebbe scoperto qualche irregolarità compiuta da lui?
«In gergo nostro si parla di svuotamento: l’attore mette a tacere la propria personalità e si immedesima in quella del personaggio. E io rivissi le sue sensazioni, in primis la solitudine. Non c’erano testimoni, nessuno parlava, nessuno andava in aula, finché ho trovato i suoi appunti originali e ho fatto il testimone de relato, appunto riferivo come se fossi lui.
Pochissime differenze dal recitare la sua parte. Intendiamoci, i tifosi non mi hanno mai abbandonato, ma non potevano certo testimoniare. E nessuno poteva essere preparato alla montagna di pattume che è stato quello scandalo e che per fortuna non ha neppure sfiorato papà».
E lei, che aveva fatto l’attore anche per non avere a che fare col calcio?
«Adesso non esageriamo. Di sicuro mi aveva dato piacere affrancarmi dall’eredità paterna e già dopo i 20 anni — quando vivevo in via Rubens — lavorare nei bar e frequentare la scuola Quelli di Grock. Lì ero un perfetto sconosciuto, non il figlio di»
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