ALPHA. Nelle sale
A mettere una sull’altra le cine-ossessioni della quarantenne Julia Ducournau si corre il rischio di non vedere più la cima della montagna. Da Raw a Titane, Palma d’oro a Cannes, sappiamo che Ducournau ha la fobia del sangue, che ritiene la famiglia una carrozza sgangherata, che ha paura delle malattie, dall’Aids al Covid, delle dipendenze, delle infezioni, dei traumi adolescenziali, delle macchine che ci prenderanno la libertà. Non poco, eh. Ma la dolorosa sinfonia risuona anche in Alpha, ennesima provocazione / allucinazione proposta a Cannes nella scorsa primavera e l’eco delle discussioni ancora non si è spento.
In un passato non prossimo, diciamo gli anni Ottanta-Novanta in una Francia oscura e tenebrosa, la ragazzina Alpha, 13 anni appena (Mélissa Boros), vive con la madre single e senza nome (Golshifteh Farahani) che fa il medico e combatte con coraggio – da sola, o quasi – contro una misteriosa epidemia che sta sterminando l’umanità: un virus venuto da chissà dove che si trasmette attraverso sangue, saliva, liquidi sessuali e pietrifica i contagiati trasformandoli in statue di marmo. Il sistema sanitario è al collasso, per i malati esistono solo cure palliative, scatta un disperato si salvi chi può. Nella prima sequenza Alpha è a una festa con il fidanzatino Adrien (Louai El Amrousy) quando uno degli invitati le fa un tatuaggio a forma di A sul braccio. Mamma è atterrita, teme che la figlia sia stata infettata, mentre gli amici e i compagni la isolano e il fidanzatino scappa via.
Intanto in casa arriva lo zio Amin, tossicodipendente (Tahar Rahim), in fin di vita, che dopo un iniziale rifiuto entra in sintonia con Alpha. Sono entrambi individui a rischio, fuori dalla società, mostri potenziali da cui prendere le distanze. Non ci sono mezze misure con i film di Ducournau: ma che piacciano o no, sono sempre sassi in piccionaia, detonatori di coscienze assopite, allarmi (ma non denunce) sull’abbassamento della quota di umanità, atti d’accusa contro il caos sociale e politico. Non c’è un istante di pausa: il body horror e la riflessione esistenziale viaggiano al ritmo di un thriller esistenziale. Il morbo è dentro di noi e accompagna il degrado delle anime. Persino l’innocenza di Alpha si frantuma di fronte al muro di indifferenza e opportunismo. Viene spontaneo il paragone con il mondo cimiteriale, di crash, vampiri e amori meccanici, di David Cronenberg, Leos Carax, Abel Ferrara, nonché di certo cinema orientale.
I corpi di Ducournau si trasformano, si decompongono, si fondono, si rompono, muoiono. La paura della morte prevale, e allora le si va incontro. Non c’è speranza, ecco il vero limite di Ducournau. Il mondo è un pozzo nero dove tutti sono destinati a perdersi prima o poi. La regista più sbarazzina del cinema mondiale racconta le premesse dello sfacelo contemporaneo, ma senza giudicare, senza invocare la morale, senza trovare pace. Mélissa Boros e Golshifteh Farahani sono due donne, madre e figlia, due generazioni di donne senza uomini che sopravvivono grazie a una solidarietà che gira alla larga dai vincoli familiari.
ALPHA di Julia Ducournau
(Francia-Belgio, 2025, durata 128’, I Wonder Pictures)
con Golshifteh Farahani, Emma Mackey, Tahar Rahim, Finnegan Oldfield, Melissa Boros
Giudizio: 3 ½ su 5
Nelle sale