L’ultima Vuelta è stata fortemente influenzata dalla proteste in favore della causa palestinese e contro quello che sta succedendo a Gaza. Ogni giorno si sono viste centinaia di bandiere palestinesi lungo il percorso, diverse frazioni sono state modificate per motivi di sicurezza e addirittura l’ultima tappa di Madrid è stata annullata. Qualcosa che non si era mai visto nella storia del ciclismo.
Questo cortocircuito tra sport e politica ha fatto molto discutere. C’è chi comprende le ragioni dei manifestanti e chi invece sostiene che le due cose, sport e politica, debbano sempre rimanere distinte. Per approfondire questo tema abbiamo contattato di nuovo Mauro Berruto, ex commissario tecnico della Nazionale maschile di pallavolo, oggi deputato e responsabile dell’area Sport del PD. Berruto è anche autore del libro “Lo sport al potere – La cultura del movimento e il senso della politica”, pubblicato a fine maggio da add editore.
Berruto è deputato e responsabile dell’area Sport del Partito Democratico
Berruto è deputato e responsabile dell’area Sport del Partito Democratico
Mauro, che idea ti sei fatto di quello che è successo alla Vuelta?
L’ho seguita da molto vicino. La prima cosa che mi viene da pensare e chiedermi è: la società civile in che modo può esprimere il suo dissenso nello sport? Gli sport che si svolgono al chiuso, in uno stadio o in un palazzetto, sono ipercontrollati. Quindi ovviamente è molto più efficace farlo nel ciclismo che è democraticamente accessibile a tutti, perché passa nelle strade, non serve il biglietto. Ovviamente, e qui parlo da sportivo, occorre sempre protestare senza mettere a rischio gli atleti.
Qualcosa, dunque, di connaturato al ciclismo.
E’ il bello e il rischio di questo sport, che mantiene in qualche modo la sua purezza. Gli amanti del ciclismo dovrebbero essere orgogliosi di questa accessibilità e democraticità che resta immutata, non è un caso che sia sempre stato uno sport letterario e popolare. Ripeto: credo che si debba esserne orgogliosi, le difficoltà e le proteste fanno parte del rischio, appunto perché è uno sport che quando c’è qualcosa per cui protestare offre il suo essere così, aperto al mondo. E credo sia una cosa bella.
Le proteste a Madrid hanno obbligato gli organizzatori ad annullare l’ultima tappa della Vuelta
Le proteste a Madrid hanno obbligato gli organizzatori ad annullare l’ultima tappa della Vuelta
Quindi credi che le proteste viste alla Vuelta, quelle pacifiche, fossero e siano giustificate?
Mi sono espresso molto esplicitamente sul fatto che non esiste una ragione per la quale Israele non debba essere bannato dalle competizioni internazionali. Non esistono ragioni perché sono descritte nella carta olimpica, gli articoli sono lì, basta leggerli. La doppia morale di fondo è evidente dal fatto che quando la Russia invase l’Ucraina il CIO ha messo 4 giorni a decidere. E infatti anche la Gazprom è stata esclusa dalle corse. Ora siamo ad oltre 700 giorni di guerra unilaterale, genocidio, chiamiamolo come vogliamo, e ancora ci stiamo ponendo la domanda su cosa fare. Anzi nemmeno, perché giusto due giorni fa il CIO ha detto che entrambi, Palestina e Israele, rispettano la carta olimpica.
Perché infatti i precedenti non mancano…
L’esempio più aderente a questa situazione è quello del Sudafrica, che è stato escluso dai Giochi Olimpici dal 1964 al 1992 a causa delle politiche razziali dell’apartheid. Lo sport è uno degli strumenti di pressione internazionale e qui è in atto un’evidente doppia morale.
Anche la tappa con arrivo a Bilbao ha subito delle modifiche a causa delle manifestazioni, con la neutralizzazione a 3 chilometri dal traguardo
Anche la tappa con arrivo a Bilbao ha subito delle modifiche a causa delle manifestazioni, con la neutralizzazione a 3 chilometri dal traguardo
La sensazione dall’interno del mondo del ciclismo è che molti, anche tra i tifosi, si siano indispettiti perché i manifestanti hanno interrotto lo show.
E’ comprensibile, ma è anche inaccettabile. Chi dice che lo sport e la politica devono restare separati dice una sciocchezza, perché non è mai stato così. Certo, l’intreccio a volte è una carezza, altre volte invece può essere soffocante e fastidioso, ma c’è sempre stato e bisogna essere abbastanza maturi da comprenderlo. Uno sport fuori dal mondo è totalmente irrealizzabile e secondo me anche sbagliato, perché alla fine tutto è politica. Per esempio non c’è dubbio che la Israel-Premier Tech abbia tra i suoi obiettivi la promozione di Israele, e quell’incongruenza rimane irrisolta.
Al termine della Vuelta l’UCI ha diramato una comunicazione in cui critica il governo spagnolo, dicendo inoltre che “L’UCI condanna fermamente lo sfruttamento dello sport per scopi politici in generale, e in particolare da parte di un governo. Lo sport deve rimanere autonomo per svolgere il suo ruolo di strumento di pace. E’ inaccettabile e controproducente che il nostro sport venga distolto dalla sua missione universale”. Sembra un bel cortocircuito.
Resto allibito. Non accetto un pensiero così banale, perché è fuori dalla storia e puzza profondamente di sport washing. Frasi del tipo “lo sport faccia il suo mestiere e non si occupi del resto” però non mi stupiscono, perché è quello che mi sono sentito ripetere per decenni, cioè: «Non rompere le scatole e continua a giocare». Ma è un pensiero che io contesto, come anche ha fatto Renzi Ulivieri, il presidente dell’Associazione Italiana Allenatori Calcio. Perché è contrario: per essere un bravo atleta devi anche pensare al mondo ed essere informato.
Bernal ha vinto davanti a Landa l’11ª frazione, anche questa accorciata però di 8 chilometri
Bernal ha vinto davanti a Landa l’11ª frazione, anche questa accorciata però di 8 chilometri
Quindi non credi che Sanchez abbia sbagliato ad appoggiare le proteste ?
Quella dichiarazione dell’UCI mi sembra infelice da qualunque parte la si guardi. Ripeto che, anzi, credo che si debba essere orgogliosi che il ciclismo sia così democratico, nel bene e nel male. Invece ho molto apprezzato la presa di posizione del Primo Ministro spagnolo. Non credo che abbia fomentato nulla, ha solo ricordato chi sta dalla parte giusta della storia.
Mettiamoci però dal punto di vista di uno sportivo. Se avessero annullato la finale per il terzo posto con cui avete vinto il bronzo olimpico, come avresti reagito?
Dal punto di vista dell’atleta e dell’allenatore è dolorosissimo, non c’è dubbio. So bene cosa significa prepararsi anni, decenni, per un obiettivo. E’ brutto e doloroso che un atleta venga privato di un evento importante, ma il fatto è che – fuori di retorica – è molto più brutto e doloroso che vengano uccise migliaia di vittime innocenti. Credo che Gaza in questo momento sia un po’ il termometro della coscienza del mondo, quindi anche degli sportivi.
Anche le premiazioni sono state annullate, e Vingegaard ha dovuto accontentarsi di una parata lungo la prima parte del percorso
Anche le premiazioni sono state annullate, e Vingegaard ha dovuto accontentarsi di una parata lungo la prima parte del percorso
Anche gli atleti, insomma, devo essere nel mondo e non fuori?
Certo. E aggiungo che il ban sportivo si applica alle squadre e non agli atleti singoli. Se sei un atleta e non hai appoggiato in maniera esplicita il tuo governo puoi comunque gareggiare, ci sono stati molti esempi anche recenti in questo senso. Il problema è tapparsi le orecchie, come hanno fatto il CIO, la Uefa e l’UCI. Altro è capire come applicare la norma, lì se ne può parlare. Bisogna comunque ricordare che uno sportivo di alto livello ha mille privilegi e quindi deve mettere in conto che la sua figura non è indifferente, ha un peso specifico diverso da quello delle persone comuni.
Abbiamo parlato della Vuelta e della Spagna. L’Italia invece cosa potrebbe fare?
In questo momento l’Italia ha un tema aperto, la partita di calcio che tra meno di un mese si giocherà contro Israele ad Udine. A riguardo sento un silenzio assordante da parte della FIGC. La cosa più sbagliata è tacere, mi piacerebbe che anche solo simbolicamente partisse un messaggio da parte dei calciatori, anche se non mi faccio molte illusioni a riguardo. L’unica cosa da non fare, ripeto, è stare zitti. Noi abbiamo lanciato una raccolta di firma della società civile che ha raccolto oltre 25 mila adesioni di persone che chiedono che quella partita non si disputi. La FIGC potrebbe fare come la Federazione norvegese che destinerà i ricavati della partita ad aiuti a Gaza. Sarebbe già qualcosa, un gesto non solo simbolico ma anche pratico. Caspico che non possano autonomamente decidere di non giocare, però farsi portavoce di un messaggio quello sì, si può e si deve fare.