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Il 10 e il 18 settembre in tutta la Francia ci sono state grosse manifestazioni e scioperi contro i tagli alla spesa pubblica previsti dall’ultima, austera proposta di legge di bilancio, a causa della quale due settimane fa era caduto il governo di François Bayrou. Il suo successore, Sébastien Lecornu, non ha ancora presentato una nuova proposta, ma data la sua vicinanza al presidente Emmanuel Macron c’è molta preoccupazione che sarà simile alla precedente.
Secondo le centinaia di migliaia di persone che hanno partecipato alle mobilitazioni, il governo pretende molto da chi ha poco e in un momento in cui ha necessità di risparmiare preferisce indebolire il sistema di welfare piuttosto che tassare le fasce più ricche della popolazione. La prima proposta di legge di bilancio di Bayrou, per esempio, proponeva di eliminare due giorni festivi e bloccare l’adeguamento delle pensioni all’inflazione per un anno, una misura che avrebbe colpito le persone meno agiate. Allo stesso tempo manteneva invariata la spesa per la difesa, l’unico ambito che finora non è stato toccato dai tagli.
La Francia ha uno dei sistemi di welfare più tutelanti d’Europa, anche per questo molto costoso. A pesare è in particolare il sistema pensionistico, il cui costo in rapporto al PIL è raddoppiato negli ultimi quarant’anni e a meno di modifiche continuerà a crescere. Le generose politiche di welfare sono però ritenute molto importanti da gran parte della popolazione: lo si è visto per esempio nel 2023, quando la decisione di Macron di forzare l’approvazione di una riforma delle pensioni (che fra le altre cose ha alzato gradualmente l’età pensionabile da 62 a 64 anni) causò enormi proteste. Ancora oggi, nonostante i problemi dovuti al deficit eccessivo, i principali partiti di opposizione chiedono che quella legge venga annullata o modificata: è una proposta considerata da alcuni poco realistica, ma che torna ciclicamente nel dibattito pubblico, l’ultima volta lo scorso gennaio.
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I manifestanti chiedono di non intaccare eccessivamente la spesa pubblica a discapito delle classi più povere. Non è solo una questione di principio, dato che il costo della vita negli ultimi anni è effettivamente aumentato per queste fasce, così come è aumentato il divario con quelle più ricche.
Un articolo pubblicato la settimana scorsa da Le Monde mette in fila un po’ di numeri che aiutano a capire la portata del problema, che tra l’altro in certi aspetti è simile a quello di molti altri paesi europei, fra cui l’Italia.
Un manifestante durante la protesta a Parigi del 18 settembre 2025, con un cartello che dice “Tassate i ricchi” (ANSA/Alexis Sciard/IP3 via ZUMA Press)
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A un primo impatto sembra che al momento in Francia si stia meglio rispetto a un paio di anni fa: ad agosto l’inflazione era dello 0,9 per cento, dopo aver superato il 6 per cento nel 2022. Nell’ultimo anno i salari sono aumentati di oltre il 2 per cento, secondo la società di consulenza Deloitte. Il reddito nazionale disponibile per le famiglie è cresciuto del 2,6 per cento rispetto al 2024 e dell’8 per cento rispetto al 2019, aggiustando l’inflazione.
Allo stesso tempo però queste variazioni sono poco percepite a livello del singolo cittadino: come spiega a Le Monde Philippe Aurain, a capo della divisione degli studi economici della Banque Postale (una banca pubblica francese), questo aumento complessivo dell’8 per cento è in realtà del 5 per cento a famiglia, perché è aumentato il numero di famiglie. Inoltre, l’aumento del reddito disponibile lordo è dato dalla creazione di molti nuovi posti di lavoro (più di un milione fra il 2021 e il 2024) più che da un vero aumento dei salari. Il tasso di disoccupazione (del 7,5 per cento) è in calo, ma è in aumento il tasso di povertà, così come il numero delle persone che accumulano debiti eccessivi: i casi di questo tipo sottoposti alla Banque de France sono aumentati del 5 per cento nel 2023 e dell’11 per cento nel 2024 rispetto all’anno precedente.
Alcuni manifestanti a Parigi, il 18 settembre 2025 (Kiran Ridley/Getty Images)
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Questo anche perché è in aumento la percentuale di lavoratori precari: secondo l’Observatoire des inégalités, un istituto di ricerca indipendente, i contratti a tempo determinato e gli apprendistati rappresentano il 16 per cento del totale, il doppio rispetto agli anni Ottanta.
Recentemente Fabrice Lenglart, il direttore dell’INSEE (l’equivalente francese dell’ISTAT), ha detto che negli ultimi anni il reddito medio derivante dal lavoro delle fasce più povere è cresciuto molto lentamente. Al contrario, è aumentato più velocemente il reddito derivante da operazioni finanziarie, come assicurazioni sulla vita o investimenti azionari. Mathieu Plane, a capo del dipartimento di analisi e previsioni dell’Osservatorio francese dei cicli economici, un importante think tank finanziato con fondi pubblici, ha detto che il 70 per cento degli aumenti reali del reddito disponibile dal 2021 al 2024 è derivato da questi redditi finanziari.
Questa divergenza tra la crescita del reddito da lavoro e finanziario ha avvantaggiato le famiglie più ricche e lasciato indietro quelle più povere, portando al più grande divario economico degli ultimi 30 anni. Secondo un rapporto della Banque Postale dello scorso luglio, nel 2023 il tenore di vita del 10 per cento delle famiglie più povere è diminuito dell’1 per cento, mentre quello delle famiglie più ricche è aumentato del 2,1 per cento.
Sono infine aumentate le spese fisse obbligatorie, come affitto, bollette o assicurazione dell’auto e della casa: secondo un recente rapporto dell’INSEE oggi il costo dell’alloggio pesa per il 27 per cento sul bilancio familiare, contro il 17 per cento di quarant’anni fa. Secondo la fondazione Eurofound, questa cifra sale al 35 per cento per chi arriva solo al salario minimo.
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