Dani Pedrosa, che si è ritirato come pilota a tempo pieno alla fine del 2018 dopo una vita da portabandiera della Honda nel Mondiale, dall’anno successivo è diventato uno dei pilastri del progetto MotoGP di KTM, per la quale è ancora al timone dello sviluppo della RC16.

Nel corso di 13 stagioni nella classe regina, lo spagnolo ha collezionato 31 vittorie ed altrettante pole position, con un totale di 112 podi. L’unica cosa che gli è rimasta in sospeso è stata l’incoronazione nella classe regina – si è classificato tre volte secondo – dopo tre titoli consecutivi in 125cc (2003) e 250cc (2004 e 2005).

Arrivato in MotoGP nel 2006 come punta di diamante del marchio dell’ala dorata, Pedrosa, etichettato all’epoca da molti come l'”anti-Rossi”, non solo ha dovuto vedersela con “Il Dottore”, ma anche con Casey Stoner, Jorge Lorenzo e più tardi Marc Marquez, che ha avuto come compagno di squadra nel garage HRC. I tifosi hanno raggruppato questo cast di eletti e li hanno battezzati i “Fantastici 5”, per la qualità, il palmares e il carisma che si concentravano in loro.

In occasione del Gran Premio di San Marino, svoltosi a Misano dieci giorni fa, Pedrosa ha partecipato al podcast condotto da Andrea Migno, in cui ha ripercorso gli aspetti più importanti del suo periodo nel Motomondiale. In una conversazione rilassata, lo spagnolo di Castellar del Vallès ha fatto una radiografia dei suoi rivali dell’epoca, evidenziando gli aspetti più significativi di ognuno di loro.

Dani Pedrosa junto a Valentino Rossi y Marc Márquez en un podio de MotoGP

Dani Pedrosa con Valentino Rossi e Marc Márquez sul podio della MotoGP.

Foto di: Motorsport.com

Valentino Rossi ha fatto una cosa straordinaria per il nostro sport. Quando ero con lui in pista, soprattutto nei primi anni, e dovevo superarlo, non ero tranquillo come con gli altri. Diciamo che aveva un’aura che non molti altri avevano”, dice Pedrosa, il cui carattere introverso lo portava a muoversi nel paddock in modo diametralmente opposto al campione di Tavullia: “Rossi poteva batterti in pista, ma a volte non aveva bisogno di farlo lì, poteva batterti fuori dalla pista. Io, per il mio carattere, ne ho sofferto un po’”.

Di Lorenzo, con cui ha avuto dei momenti difficili fin dalle categorie minori in Spagna, ha sottolineato in egual misura il talento e la capacità di lavorare per affinare alcuni punti della sua guida che non gli erano innati. “Con Jorge è stata una storia diversa, perché la nostra rivalità risale a molti anni fa. Aveva un’enorme qualità in curva e anche in frenata. E nel corso degli anni è migliorato molto. Ha faticato all’inizio e si è concentrato sul miglioramento. Poi si è concentrato sul miglioramento nel primo giro di gara, quindi sulla guida sotto la pioggia”, ha detto il numero 26.

Poi è il turno di Stoner, del quale Pedrosa ha sottolineato tutto ciò che ha reso l’australiano così speciale su una moto da corsa, soprattutto il suo istinto.

“Vedevo Vale o Lorenzo guidare e dicevo ‘wow’. Ma non c’era nulla che pensassi di non poter fare. Forse non sempre, perché non era il mio forte, ma vedevo che ne ero capace. Con Stoner, ho visto in lui cose che non ero in grado di fare”, ha detto l’attuale collaudatore KTM.

“Casey scendeva in pista senza sapere se il circuito girasse a destra o a sinistra, con le gomme fredde e senza assetto, e volava al primo giro”, ricorda Pedrosa, prima di soffermarsi su Marquez, con cui ha condiviso il box HRC per sei anni, dal debutto del #93 (2013) fino a quando ha deciso di appendere il casco al chiodo.

“Marc è in grado di vedere quel tipo di cose che io ho visto in Stoner, e di farle. Ha la capacità di migliorare quegli aspetti specifici, senza che questo lo penalizzi nelle cose che sono il suo punto di forza”, ha aggiunto lo spagnolo.

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