L’herpes zoster, o fuoco di S.Antonio aumenta significativamente il rischio di infarto e ictus, soprattutto nelle settimane successive all’infezione. Lo mette in luce uno studio internazionale.

All’inizio sembra soltanto un’eruzione fastidiosa, che si confonde facilmente con una scottatura solare o con un eritema, magari dovuto a un’allergia alimentare. Ma poi le cose cambiano: diventa un dolore che brucia lungo il torace o il volto, o le gambe, seguito da vescicole e arrossamenti che richiamano una malattia infantile mai davvero scomparsa: la varicella. Eppure, l’herpes zoster – noto anche come “fuoco di Sant’Antonio” – è molto più di una ricaduta virologica dell’infanzia. Studi clinici condotti negli ultimi anni stanno rivelando un legame preoccupante tra questa infezione virale e una delle principali cause di morte nel mondo, e cioè l’infarto del miocardio. Non si tratta solo di una correlazione occasionale. I dati parlano di un rischio aumentato in modo significativo nei giorni e nelle settimane che seguono la comparsa del virus, e a subire le conseguenze più gravi sono proprio cuore e cervello. La possibilità di un infarto acuto o di un ictus cerebrale, dopo un episodio di herpes zoster, può crescere in maniera esponenziale, trasformando una malattia comunemente considerata fastidiosa, ma benigna, in un vero allarme per la salute pubblica.

A dimostrarlo è un importante studio epidemiologico condotto da un gruppo di ricerca statunitense guidato da scienziati del Brigham and Women’s Hospital, in collaborazione con la Harvard Medical School e il Dipartimento di Ricerca dell’Olmsted Medical Center. I risultati non lasciano spazio a dubbi: chi contrae l’herpes zoster ha un rischio sensibilmente aumentato di incorrere in infarto o ictus nei mesi successivi all’infezione. Un’associazione che emerge con forza anche in assenza di precedenti problemi cardiovascolari. Lo studio, coordinato dalla professoressa Sharon G. Curhan, docente presso il Dipartimento di Medicina dell’ospedale universitario del Massachusetts, si è basato sull’analisi di tre grandi coorti epidemiologiche: il Nurses’ Health Study, il Nurses’ Health Study II e l’Health Professionals Follow-Up Study. In totale, sono stati analizzati i dati di oltre 200 mila uomini e donne, accuratamente selezionati per non avere una storia clinica di ictus o malattia coronarica all’ingresso nello studio. Il periodo di osservazione è stato lungo: i partecipanti sono stati seguiti per un massimo di 16 anni attraverso questionari biennali, convalidati tramite la revisione delle cartelle cliniche.

L’analisi ha evidenziato un dato allarmante: l’infezione da herpes zoster si associa a un rischio più elevato di sviluppare eventi cardiovascolari maggiori, come infarto del miocardio e ictus cerebrale. In particolare, il rischio risulta più marcato nel primo anno successivo all’episodio infettivo, ma rimane più alto della media anche negli anni seguenti. La relazione, secondo i ricercatori, appare solida anche dopo aver corretto numerosi fattori di rischio come fumo, ipertensione, diabete, indice di massa corporea e abitudini di vita. I risultati sono stati pubblicati sul Journal of the American Heart Association e confermano quanto già emerso da studi precedenti, ma con una forza statistica e una metodologia finora inedite. 

Già diversi anni addietro, in una vasta analisi pubblicata su  PLOS Medicine si era osservato che il rischio di infarto miocardico aumentava fino al 68% nella prima settimana dopo la comparsa dei sintomi dello zoster. Un altro studio, condotto su oltre due milioni di pazienti americani over 50, aveva confermato che il pericolo cardiovascolare resta significativamente più alto nei trenta giorni successivi alla diagnosi di herpes zoster. Questo anche perché il virus varicella-zoster, una volta riattivato, non si limita ad aggredire le terminazioni nervose, ma innesca anche una tempesta infiammatoria che può coinvolgere anche il sistema vascolare. Le arterie, soprattutto quelle già rese maggiormente fragili da placche aterosclerotiche, diventano bersagli vulnerabili. Il virus è in grado di penetrare le pareti vascolari, di provocare una vasculite infettiva e di destabilizzare l’equilibrio emodinamico del paziente. Attenzione: il rischio non è limitato ai pazienti anziani o con comorbidità evidenti: anche persone apparentemente sane, ma mai vaccinate o mai esposte in modo significativo al virus, possono subire le conseguenze dell’infezione riattivata. L’effetto è amplificato nei soggetti immunocompromessi, nei diabetici e nei pazienti con pregressi problemi cardiaci, ma nessuna categoria sembra del tutto esclusa dal pericolo. Le implicazioni di questi dati sono profonde. Innanzitutto, ci obbligano a riconsiderare il modo in cui l’herpes zoster viene percepito nella pratica clinica, e cioè non più un semplice disturbo dermatologico, ma una condizione sistemica che merita attenzione anche in ottica cardiologica. E in questo contesto, la vaccinazione assume un ruolo centrale. I vaccini disponibili – in particolare i ricombinanti raccomandati in molti Paesi per gli over 50, in Italia sono offerti gratuitamente sopra i 65 anni e per tutti gli over 18 se affetti da condizioni di rischio elevato come malattie oncologiche o immuno-depressione – non solo riducono drasticamente l’incidenza dell’herpes zoster, ma potrebbero contribuire a prevenire eventi cardiovascolari gravi associati alla riattivazione virale. E questo, in termini di salute pubblica, può davvero fare la differenza. Nel nostro Paese il vaccino utilizzato è quello ricombinante adiuvato, che non contiene virus vivo attenuato, ed è somministrato in due dosi a distanza di due-sei mesi. Ha un’efficacia superiore al 90 per cento nella prevenzione dell’Herpes Zoster e delle sue complicanze, in particolare la nevralgia post-erpetica, e mantiene una protezione elevata per almeno dieci anni: in Italia, si calcola che negli ultimi due anni si siano verificati più di 300.000 casi.