Il governo statunitense ha scelto di usare bastone e carota con le Big Tech. Da un lato, i giganti della tecnologia sono diventati un valido compatto gruppo di alleati per l’amministrazione Trump. Tanto che il presidente americano si è portato dietro i ceo della Silicon Valley durante la visita di Stato in Gran Bretagna in vista di un accordo per investimenti miliardari. Ma non mancano i colpi sferrati contro le stesse aziende della tecnologia, che oggi pescano a piene mani nel mercato globale del lavoro per trovare professionisti specializzati in ingegneria informatica e materie affini.
​La campagna acquisti all’estero — che in questo settore va avanti da decenni — non piace alle frange dell’estrema destra americana, che vedono in ogni tipo di immigrazione un male da estirpare. Dai migranti che attraversano il pericoloso confine fra Messico e Usa, a costo di rischiare la vita pur di inseguire un ormai lontano sogno americano, fino ai giovani laureati di università indiane che hanno trovato nella tecnologia un’area di specializzazione. Un tema dell’estrema destra, sì, ma che lo è diventato anche alla Casa Bianca, che venerdì ha firmato un decreto presidenziale per aumentare il costo del visto H-1B. Istituito nel 1990 e richiesto dalle aziende per far entrare negli Usa «persone che desiderano prestare servizi in un’occupazione specializzata, servizi di eccezionale merito e abilità», fino a questo momento è stato possibile accedere al visto tramite una lotteria — ogni anno vengono garantiti dal Congresso 85 mila visti — al modico prezzo di 215 dollari. Ora l’amministrazione Trump ha portato il biglietto per la “riffa del lavoro” a 100 mila dollari. E poco importa al tycoon se l’America è diventata grande anche grazie ai lavoratori iper-specializzati nati all’estero. Chissà se The Donald ricorda, tuttavia, che con questo visto siano entrati negli Usa anche alcuni dei ceo più importanti di questo settore, gli stessi che adesso siedono (o sono stati seduti) alla sua destra.