di
Francesco Chiamulera
Da dietro una tastiera, troppo spesso, non ci si blocca nemmeno per tirare il fiato di fronte a una persona che non c’è più
Eccolo, all’imboccatura del sentiero dolomitico, sotto al Sorapis, a luglio scorso. Con il viso del montanaro, un po’ serio e malinconico, ma allegro, cordiale, disponibile allo scambio. Solo un’immagine per Franco Gaspari, guida alpina e soccorritore, morto qualche giorno fa nelle sue Dolomiti, mentre saliva le Tre Cime.
Il senso di comunità
Solo un’immagine, non perché Gaspari non meriti di più; ma perché per riserbo ci si ferma sulla soglia, quando si scrive di chi si è conosciuto solo in qualche occasione in un’esistenza intera. Infatti il tema di queste righe non è Gaspari, e nemmeno il paese di Cortina d’Ampezzo, che si è ritrovato foltissimo intorno alla memoria, per il suo funerale venerdì, offrendo il ritratto di una comunità. La comunità per davvero: quella fatta di persone reali, e di passaparola e di confessione onesta del proprio punto di vista — nel senso di fatta a quattr’occhi, su un sentiero, al bar, per strada, guardandosi, contemperando la sincerità con l’aspettativa ragionevole di quello che il nostro interlocutore potrà provare di fronte alle nostre parole. Eppure, ad aprire Facebook, nel caso di Gaspari come di molte altre persone che sono mancate in questi tempi, non è la stessa comunità.
I social e i commenti
Dove sono, in carne e ossa, per strada, quelli che di fronte alla notizia di una morte improvvisa si permettono sullo schermo del telefono i demenziali commenti social a tempo record sul vaccino e sulle politiche sanitarie, «chissà come mai da un po’ queste morti sospette?». Dove li trovi, nella realtà, quelli che sui social non si fermano neanche per tirare il fiato di fronte a una persona che non c’è più? Una volta, nelle montagne, a un funerale, due ragazzini che sghignazzavano a pochi metri dalle persone in lutto vennero presi “per le orecchie”, come si dice, e portati via. Tacere (e chiedere di tacere) di fronte a chi ci lascia e se ne va non è una cosa da montanari schivi e introversi, e non è censura. È decenza e rispetto. Racconta Amelia Edwards nel suo libro “Cime inviolate e valli sconosciute”, del 1872, che proprio sotto le Tre Cime, in località Valbona, viveva «in questo perduto angolo di mondo, tutto l’anno», una guardia forestale, l’ampezzano Bastiano Siorpaes.
Il mistero di oggi
«È molto tristo, specialmente in inverno. Quando l’autunno sta per finire egli approvvigiona la sua casetta di farina, formaggi, caffè e di altri generi di prima necessità, come dovesse affrontare un lungo assedio. Poi cade la neve e per mesi nessun essere vivente si avventura nella valle». Il mistero dei pensieri di quest’uomo era da capire e scoprire accostandosi con grazia, come faceva Edwards. Con riserbo. Ed è ancora il mistero di oggi.
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22 settembre 2025 ( modifica il 22 settembre 2025 | 21:24)
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