di
Daniela Corneo

Viola Di Lembo, 47 anni, infermiera al Pronto soccorso dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna racconta le condizioni di chi lavora come lei, tra orari impossibili, aggressioni (verbali e non) e minacce: «Il nostro è un lavoro molto bello, ma quello che ti dà è meno di quello che ti prende ormai»

Ci sono infermieri (tanti) che lasciano tutto e se ne vanno, stretti fra i carichi di lavoro, le aggressioni, un costo della vita crescente con stipendi non all’altezza delle responsabilità. E ci sono infermieri che restano, o meglio, resistono. Ma che lanciano un grido d’allarme e chiedono che le istituzioni li ascoltino, prima che il «buco» di personale che si è creato diventi una voragine non più arginabile. Una di questi è Viola Di Lembo, 47 anni, infermiera al Pronto soccorso del Sant’Orsola, delegata aziendale per il Nursind, sindacato che l’altro giorno ha fatto un appello alla Regione: «Ascoltate cosa abbiamo da dire sul sistema dell’emergenza-urgenza».

Di Lembo, lei cos’ha da dire sul sistema dell’emergenza-urgenza?
«Lavoriamo sempre con i numeri contati, siamo costantemente a contingente minimo, a maggior ragione nel periodo delle ferie che vanno ovviamente garantite, ma poi bastano una malattia, un infortunio, un imprevisto e i numeri non bastano».



















































E poi ci sono molti che hanno lasciato…
«Questo è attualmente un problema gravissimo. Sono andati via e stanno andando via molti colleghi esperti e questo crea una carenza di personale formato. Gli infermieri formati al triage, che è la postazione più stressante, sono sempre meno e sono difficilmente rimpiazzabili, perché per fare triage bisogna aver fatto almeno 6 mesi di Ps, un corso specifico e un affiancamento che non si può fare d’estate. Quindi chi resta ha un carico maggiore».

Nella pratica che cosa significa?
«Se prima si faceva un turno di triage ogni tre, a volte ti trovi a fare tre, quattro o anche cinque giorni di seguito di triage che comporta uno stress molto alto».

APPROFONDISCI CON IL PODCAST

Vi è richiesto anche di fare i turni dopo aver smontato dalla notte?
«Al Sant’Orsola non succede, se mai capita di dover rientrare nel giorno del riposo compensativo, ma in altri ospedali di Bologna ho colleghi a cui viene richiesto di rientrare sul pomeriggio successivo addirittura. E anche se venissero chieste due notti di seguito, è molto pesante: l’attenzione viene compromessa dalla stanchezza».

Poi ci sono le aggressioni. I dati sul pulsante rosso negli ospedali raccontano di episodi ricorrenti. È mai stata aggredita?
«Ho dei colleghi attualmente in infortunio per aggressione. Le aggressioni verbali sono all’ordine del giorno. Io l’anno scorso sono stata minacciata di morte da una paziente in attesa con codice verde che ha promesso di venire sotto casa mia: come si fa a lavorare serenamente dopo una cosa così? Al di là dei pazienti alterati o con problemi psichici, la cosa più pesante è che ad aggredire sono soprattutto persone che vivono l’attesa come qualcosa di insostenibile. Per quello il triage è una delle mansioni più dure».

Ha visto e vede molti colleghi in burnout?
«Secondo me lo siamo un po’ tutti, me compresa. È un lavoro che logora molto presto, ma questo non viene mai considerato. Quello che lascia più perplessi e amareggia è che in questo momento storico le aziende chiedono di annullare la propria vita personale a favore di un bene superiore che è la salute dei cittadini, ma anche noi dobbiamo tutelare la nostra».

Ha sempre fatto l’infermiera?
«Faccio questo lavoro da 10 anni, dopo aver fatto triennale e magistrale e aver scelto Bologna per la sua tradizione infermieristica. Prima lavoravo sulle barche a vela e ho anche lavorato per una società di charter, ma a un certo punto ho sentito il bisogno di fare un lavoro con un valore sociale. L’ho fatto davvero credendoci molto questo lavoro e sono partita super entusiasta».

E adesso?
«Mi pento. Inizio a sentire la fatica. Una fatica poco riconosciuta. Vorrei più tempo per la mia vita privata. Senza un contraltare adeguato questa professione è poco attrattiva, non consente di organizzare la propria vita, al di là dei soldi che per una città come Bologna sono comunque molto pochi. Se si riuscisse a farlo come dovrebbe essere fatto, il nostro è un lavoro molto bello, ma quello che ti dà è meno di quello che ti prende ormai. Quindi uno alla fine fa le sue valutazioni».

La Regione ha fatto delle promesse, però, sulle professioni sanitarie.
«Sono state fatte grandi promesse, ma ancora non si è visto nulla, nemmeno nelle intenzioni a dire il vero. Non si possono risolvere i buchi di bilancio tagliando le risorse sul personale».
daniela.corneo@rcs.it


Vai a tutte le notizie di Bologna

Iscriviti alla newsletter del Corriere di Bologna

21 luglio 2025 ( modifica il 21 luglio 2025 | 11:57)