di
Pierfrancesco Carcassi
Faccia d’Angelo, voce debole e incerta, è stato intervistato da Fedez con il giornalista Maurizio Dianese. «Iniziammo rubando i camion di Parmigiano. Un pittore mi pagava la cocaina che gli davo con i suoi quadri»
«Hai avuto degli amici veri nell’organizzazione per cui ti è dispiaciuto di aver barattato la tua libertà per la loro?», chiede Fedez. «No, no… niente. Quando ho collaborato l’ho fatto per convenienza, nel 1994, ho detto tutto quello che avevo fatto», risponde l‘ex capo della Mala del Brenta Felice Maniero. «Faccia d’Angelo» esordisce così davanti alla telecamera di «Pulp podcast» condotto dal cantante con Mr. Marra: ha il volto celato da una tipica maschera veneziana, una bauta, e non lascia spazio a ripensamenti per il ruolo di collaboratore di giustizia che ottenne a metà degli anni Novanta, in cambio in cambio dello smantellamento della Mala e della protezione (e il falso nome) che lo Stato gli aveva garantito. A 71 anni compiuti, l’ex boss non ha più la verve guascona delle ultima apparizioni in video: la voce è debole, incerta, le parole sono sfuggenti, le frasi frammentarie. Solo in qualche momento si intravede il guizzo criminale di un tempo: «Le evasioni le rifarei subito se capitasse. Il pathos che ti danno non ha eguali, soprattutto se si fugge da un carcere speciale».
Quel patrimonio di 33 miliardi
I conduttori gli danno il benvenuto con un applauso. L’intervista si tiene in «una località segreta» ma in realtà le interviste sono due. Il racconto di Maniero è intervallato da quello del giornalista del Gazzettino Maurizio Dianese che da sempre si è occupato di cronaca nera e della Mala del Brenta: «Maniero mi ha contattato un anno fa – spiega Dianese – nessuno aveva capito che aveva una depressione fortissima, cominciata con la fuga dal carcere di Fossombrone. “Voglio scrivere l’ultimo libro con te, mi disse”». Il libro di Dianese su Maniero, «Come me nessuno mai», uscirà a gennaio per Feltrinelli. «Lui è il più grande bandito del Nord Italia, aveva una banda con 400 soldati – prosegue il cronista – ha messo da parte almeno 33 miliardi di lire che non verranno mai trovati perché li ha spesi».
Dai formaggi alle armi
Maniero ripercorre con le origini della Mala del Brenta, «prima organizzazione criminale nata al Nord» a partire dai furti di formaggio negli anni Settanta – «camion con le forme di Parmigiano, uno bastava quasi per comprare una Ferrari» – il passaggio alle gioiellerie – «ci fermammo a Piazzola sul Brenta (Padova, ndr), me lo ricordo perché era la prima. Avevamo la nostra pistolettina… caricammo in auto 30 chili d’oro e ce ne andammo». Poi arrivò la droga. «Io e altri non eravamo favorevoli; un altra parte di noi sì. Nel 1980 – ricorda l’ex boss – non era mai avvenuto un omicidio per la nostra organizzazione, chi tradiva veniva allontanato». Il primo ucciso dalla Mala fu «un ragazzo di 30 anni che non era neanche granché», spiega Maniero. «Io ero in carcere, l’hanno ucciso a casa, per il traffico di droga, subivamo pressioni dai nostri, dalle mafie del Sud e dai milanesi». I contatti con le altre mafie servivano per controllare il territorio – «con la Camorra, la ‘ndrangheta non era ancora arrivata» – e poi c’erano le armi: «Ho fatto un grande traffico tra Venezia e Jugoslavia, con Bosnia, Serbia, vendevamo a tutti». Un’organizzazione criminale potentissima che Maniero dice di non aver pianificato: «Mi ci sono ritrovato». E come è possibile costruire un impero del genere, si chiedono i conduttori? Risponde Dianese: «È un genio del crimine. Lui ha fatto ammazzare in un anno le persone che Vallanzasca ha fatto in una vita; le rapine di Vallanzasca le ha ordinate in un weekend. Della sua Mala non resta più nulla, la struttura rispondeva a Maniero. Capisco il fascino ma ha sulla coscienza una trentina di omicidi, migliaia di rapine. Va trattato da bandito. Faceva molta paura, comandava lui. Era una bestia, di una cattiveria non raccontabile».
Schifano, i quadri, la cocaina
La rapina di maggior valore? Faccia d’Angelo non ha dubbi: «Il Casinò di Venezia, abbiamo preso 8 o 9 miliardi. Facilissimo, è andata liscia». Poi c’è stato il colpo al treno: «Lo abbiamo fermato con il freno di sicurezza, eravamo 4 o 5 a bordo. C’era una camera blindata e avevamo messo il tritolo. Sparo in aria, vedo che scappano tutti. A quel punto ho acceso l’esplosivo. È scoppiato il vagone e una ragazza di vent’anni è rimasta uccisa nell’esplosione (la studentessa Cristina Pavesi, ndr)». Gli valse una condanna per omicidio colposo. Interviene Dianese: «È la cosa che l’ha segnato di più assieme alla morte della figlia». Sul patrimonio di Felice Maniero le indiscrezioni sono ancora affidate a Dianese: «Aveva un centinaio di opere di Mario Schifano che gli regalava i quadri in cambio della cocaina», puntualizza il giornalista. «Tutta la collezione è stata venduta. L’unico punto di domanda è su un autoritratto di Van Gogh (vale decine di milioni di euro, ndr) che non è mai saltato fuori. Mi chiedo se una persona con depressione e con difficoltà anche di eloquio sia in grado di ritrovarla».
«Pagavamo uomini della polizia e dei servizi segreti»
L’ex boss parla dei suo vizi all’apice – «macchina grande, casinò… Non ci beccava nessuno» – e dei rapporti con gli apparati dello Stato. «Se ne ho avuti? Madonna. Pagavamo l’ipettore capo della polizia di Stato 6 milioni al mese, quello dei carabinieri anche lui lo pagavamo; poi avevamo un colonnello dei servizi segreti». Non solo passato: colpi del genere si potrebbero ancora fare oggi che il mondo è cambiato è ci sono tecnologie di tutti i tipi? «Anche oggi si potrebbero fare le stesse rapine», risponde sicuro l’ex capo. Maniero: «In giro oggi c’è solo droga. Però volendo ci sono altri business, l’azzardo è ancora usato dalla criminalità organizzata per riciclare denaro».
Le evasioni
C’è spazio anche per le evasioni «famose» e per la latitanza «del costo di 10 milioni al mese». «Fuggii da tre da carceri di massima sicurezza. Da Fossombrone facemmo tre chilometri nelle fogne, ci facemmo dare le planimetrie». La fuga dal carcere di Padova grazie a una guardia corrotta: «Vennero a prenderci con un’auto fasulla della polizia, dentro c’erano i miei uomini». Sui colleghi di un tempo, Maniero concede giusto un commento: «Della mafia del Brenta resta qualcosa, sono anche bravi: fanno rapine alle gioiellerie. Si è sganciata la cocaina, il fumo…». All’ex sodale Giampaolo Manca, che oggi conduce tour guidati sui luoghi dei furti e si fa chiamare il «Doge», Maniero riserva l’etichetta di «pagliaccio». Tra i due si susseguono da tempo scontri a distanza: nei giorni precedenti all’uscita dell’intervista di Fedez, Manca aveva dedicato a Faccia d’Angelo una serie di post social ritraendolo come una «pantegana», sintomo di ruggini vecchie decenni. Maniero glissa su tutto: «Non mi sono mai confrontato con Manca e non lo farò. Da bandito sarebbe disonorevole», taglia corto Maniero.
«Rimpianti? No comment»
Nella puntata i conduttori provano spesso ad arrivare all’uomo Maniero dietro il boss. Con risultati Alla fine chiedono: c’è qualcuno che ti è rimasto nel cuore? «Flavio Zinato, faceva le rapine con me». «E facendo un bilancio, hai qualche rimpianto?». Anche dietro la maschera, l’ex boss non cede: «No comment».
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22 settembre 2025 ( modifica il 22 settembre 2025 | 19:20)
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