Particolare della copertina del libro

Particolare della copertina del libro

Alla ricerca della verità, la celebre autrice Lea Ypi, con il suo nuovo libro Indignity, intraprende un viaggio che la porta dal contesto multietnico degli ultimi giorni dell’Impero ottomano all’ascesa del fascismo in Europa e alla successiva instaurazione di dittature proletarie in Oriente. Recensione

Con sguardo acuto, Lea Ypi reinventa le vite passate di persone reali che hanno navigato tra mondi in declino e mondi emergenti, il più delle volte a scapito della propria libertà e dignità. Le sue motivazioni sono profondamente personali, eppure affronta i suoi soggetti e i fatti storici con la chiarezza e l’obiettività di una studiosa matura.

Tutto inizia con una fotografia del 1941 dei suoi nonni, Leman e Asllan Ypi, immortalati in vacanza nella lussuosa località alpina di Cortina, incastonata nel cuore delle Dolomiti italiane. A lungo ritenuta perduta, la fotografia sopravvive alla persecuzione della famiglia da parte del regime comunista albanese nel 1947, pur rimanendo sequestrata in un archivio di Stato.

Nel tentativo di capire chi fosse veramente sua nonna (e perché sorridesse in quella fotografia del 1941, mentre la Seconda guerra mondiale infuriava in Europa e la Germania nazista avanzava verso est), Ypi ricostruisce la storia consultando archivi e centri di documentazione dall’Albania alla Grecia, dall’Italia al Regno unito, e oltre, in tutto il continente.

Ricostruisce città e paesi, fa rivivere realtà e cattura le dinamiche della vita quotidiana nella penisola balcanica attraverso epoche mutevoli con la vividezza e la precisione di un cartografo che mappa mondi perduti. Pertanto, il contesto storico e sociale da cui prendono forma i suoi personaggi non è frutto della sua immaginazione, ma il risultato dei materiali d’archivio e delle testimonianze di vita reale che scopre.

Attraverso questo libro, Ypi dimostra di essere non solo una ricercatrice rigorosa e una scrittrice esperta, ma anche una persona empatica: si avvicina ai suoi personaggi con curiosità e tenerezza, senza mai invadere la loro privacy, ma aprendo una finestra sul mondo intimo di ragazze e donne che hanno sopportato non solo gli strazianti sconvolgimenti del loro tempo, ma anche il peso soffocante del patriarcato radicato nella struttura stessa della loro classe e della società in generale.

Leman, la protagonista della storia, proviene da una famiglia di etnia albanese appartenente all’aristocrazia terriera e all’élite amministrativa di Salonica (l’odierna Salonicco), uno dei più importanti centri economici, culturali e intellettuali dell’Impero Ottomano.

Leman legge, scrive e parla diverse lingue; gode dei privilegi concessi ai pari del suo ceto sociale, con accesso a informazioni e beni provenienti da tutto il mondo; beneficia di un’istruzione che la introduce precocemente ai pensatori e agli ideali dell’Illuminismo occidentale. Eppure, le sue libertà sono fondamentalmente limitate.

Le scelte che definiscono la sua vita (se sposarsi, chi sposare, se proseguire gli studi o rimanere confinata alla vita domestica, e il tipo di vita che può condurre) rimangono in gran parte dettate da norme e aspettative sociali patriarcali.

Anche nei suoi tentativi di sfidare queste norme e aspettative, la realtà politica che la circonda prende svolte imprevedibili e allo stesso tempo predetermina i limiti delle sue scelte. Si può davvero esercitare il libero arbitrio quando la libertà stessa è assente?

Questo contrasto sottolinea i limiti del privilegio formale: persino alle giovani donne più istruite, cosmopolite e influenti della classe socio-economica di Leman veniva negata l’autonomia sugli aspetti più intimi e importanti della loro vita.
Il paradosso è simbolicamente incarnato in Selma, la zia di Leman, un personaggio forte e comprensivo che, pur cercando la liberazione da autodidatta, è stato annientata dall’ordine socio-politico in cui viveva. La sua storia illustra un punto cruciale: la sola istruzione, se non ancorata al cambiamento istituzionale e strutturale, non può garantire una vera emancipazione, ma rischia di trasformarsi in una falsa promessa.

Un filo conduttore attraversa i regimi autoritari nel corso della storia (dall’Impero ottomano, all’Italia fascista, all’Albania hoxhaista-stalinista), come evidenziato da Ypi: si tratta di sistemi strutturati al servizio di una ristretta élite, dove la libertà individuale e la dignità umana sono sistematicamente represse, lasciando poco spazio all’autonomia o alla giustizia.

Danneggiano le donne e tutti coloro che sono considerati diversi o percepiti come “inadatti” o vulnerabili, poiché rafforzano il potere del più forte, spesso associato al predominio maschile. Di conseguenza, i meccanismi strutturali che sostengono l’autorità del regime perpetuano simultaneamente la disuguaglianza, rendendo impossibili la vera emancipazione e l’equità di genere in tali condizioni.

Ad esempio, nel terzo capitolo della seconda parte, il libro usa l’ironia per esporre vividamente la banalità e la mediocrità di tali strutture di potere, incarnate in parte dallo stesso Enver Hoxha, il cui pugno di ferro ha tenuto prigioniera l’Albania per quarantacinque anni. Come il nonno di Lea Ypi, decine di migliaia di cittadini innocenti che non condividevano la visione di Hoxha sull’Albania sono finiti in famigerate prigioni politiche e campi di lavoro.

In questo passaggio, Ypi sottolinea la meschinità del potere e la dissonanza tra apparenza e realtà in contesti autoritari, dove sotto l’immagine di un’autorità raffinata si celano solo marciume morale e incompetenza politica: “Il giovane si voltò verso Leman, ma fu brevemente distratto dal suo riflesso nella finestra scura e lucida che divideva la veranda dall’interno del nuovo caffè. Si tolse il basco e si passò le dita tra i capelli scuri e ondulati. Erano accuratamente acconciati all’insù con una brillantina che profumava di lavanda e faceva brillare i suoi capelli alla luce della sera. Lei notò le sue scarpe, consumate ma impeccabilmente lucidate, ma mentre lui si sedeva accanto a lei, sentì anche l’odore di cipolla cruda nel suo alito, e la miscela di cipolla e lavanda che ne risultò fu così insopportabile che istintivamente scostò la sedia.”

Un momento analogo definisce il tono all’inizio del libro, quando la causa della morte di Ibrahim Pasha, nonno di Leman, viene attribuita all’eccesso di baklava: un passaggio leggero, ma significativo, che mette in luce l’avidità senza tempo delle élite e la banalità che pervade il loro esercizio del potere.

Leggere queste storie attraverso la voce di un’autrice albanese e da donna albanese è importante perché porta alla luce prospettive a lungo messe a tacere o marginalizzate. La storia dei Balcani è stata narrata principalmente da outsider, in particolare da autori o ricercatori uomini che hanno esotizzato o visto la regione attraverso uno sguardo coloniale occidentale.

Ypi rivendica quella narrazione, non solo fondandola su esperienze vissute e specificità storiche, ma anche evidenziando le dimensioni di genere dell’oppressione, della resilienza e della sopravvivenza.

Rivendica voci messe a tacere, affrontando al contempo la duplice negazione di provenire da un piccolo paese e di essere una donna. Così facendo, trasforma la memoria personale e collettiva in una riflessione universale su libertà, dignità e giustizia, mostrando come il personale e il politico siano inscindibilmente connessi.

Sebbene possa avere un significato particolare per i lettori albanesi, il libro rimane completamente accessibile ad un pubblico che va ben oltre l’Albania: non è richiesta alcuna conoscenza pregressa dell’Albania o dei Balcani per coglierne il sarcasmo tagliente o le sue stratificate realtà politiche, culturali e storiche. Ypi scrive con un linguaggio chiaro e diretto, offrendo il contesto giusto senza mai scivolare nel paternalismo, così che il locale diventi universale e il particolare risuoni come umano.

Trasformando il passato in uno strumento di apprendimento, Indignity ci invita a considerare anche la crisi politica e le insicurezze contemporanee, come l’ascesa del nazionalismo e del populismo di estrema destra, non come peculiari del nostro tempo, ma come ricorrenti promemoria di quanto siano delicate le nostre istituzioni democratiche e i nostri ideali di giustizia e libertà quando non vengono difesi attivamente ogni giorno.

Come osserva il Dott. Elias, il medico ebreo della famiglia Ypi di Salonicco che incarna il costo umano e il peso dei totalitarismi del XX secolo: “Potremmo avere qualche problema ora, a causa della crisi attuale, e la gente diventa impaziente e perde la fede. Ma si risolverà; lo risolveremo proprio come abbiamo fatto in passato, e tutti impareremo dai nostri errori”.

A questo proposito, il potere dell’immaginazione emerge come una forza radicale, che ci permette di affrontare le sfide attuali con intuizione e di imparare dalla storia, per poter immaginare un mondo più giusto e resiliente.

Indignity è un libro ancorato al passato, che usa la storia come lente per sfidare il presente e illuminare le scelte che plasmano ciò che aspiriamo a essere oggi.

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