Dalla Casa Bianca è arrivata una notizia che potrebbe cambiare per sempre il dibattito sull’autismo.

L’annuncio congiunto del presidente Donald Trump e del Segretario alla Salute Robert F. Kennedy Jr. ha presentato un pacchetto di azioni che segna, per la prima volta, un riconoscimento politico e istituzionale della gravità dell’“epidemia autismo”.

L’aumento è impressionante: +400% dal 2000. Oggi 1 bambino su 31 negli Stati Uniti rientra nello spettro autistico. Non si tratta più di un fenomeno marginale, ma di una questione centrale di salute pubblica, con enormi conseguenze sociali, educative ed economiche.

Un tabù infranto

L’autismo è stato a lungo un argomento intoccabile nella politica americana. Per decenni le agenzie federali hanno camminato in punta di piedi, indirizzando la ricerca quasi esclusivamente verso la genetica, evitando accuratamente le questioni più controverse: ambientali, farmacologiche e legate alle pratiche mediche.
Tutto questo ora pare finito: Donald Trump ha infranto il tabù con un discorso diretto e a tratti incendiario, tanto da lasciare persino i suoi stessi responsabili sanitari a rincorrerne le affermazioni.
Affiancato dal Segretario alla Salute Robert F. Kennedy Jr., dal direttore del NIH Jay Bhattacharya, dal commissario FDA Marty Makary, dal Dr. Mehmet Oz e da altri alti funzionari, il presidente ha definito l’autismo una “crisi orribile, orribile”, descrivendone la crescita con toni drammatici.

La frase sussurrata di Trump

Oltre ai proclami ufficiali, il passaggio più sorprendente è arrivato a microfono aperto ma con tono quasi sommesso, quando Trump ha dichiarato:
“Sta emergendo che noi [Bobby e io] ne abbiamo capito molto di più di molte persone che l’hanno studiato [l’autismo]. Noi pensiamo. E dico pensiamo perché non credo che loro [l’establishment medico] stessero davvero facendo sapere al pubblico ciò che sapevano.”
Un’affermazione che equivale a un’accusa esplicita di insabbiamento: Trump ha insinuato che per decenni il pubblico non sia stato informato di ciò che la comunità scientifica e le istituzioni sanitarie già conoscevano.
Un’accusa che si lega direttamente ad altre parole esplosive pronunciate nello stesso discorso:
“Solo pochi decenni fa, 1 bambino su 10.000 aveva l’autismo… ora è uno su 31 ma in alcune aree è molto peggio di così, se ci credete: uno su 31 e… per i maschi, uno su 12 in California.”
E ancora:
“Non si passa da 1 su 20.000 a uno su 10.000 e poi a uno su 12 senza che ci sia qualcosa di artificiale. Stanno prendendo qualcosa.”
Trump ha parlato apertamente di un aumento “artificialmente indotto”, lasciando intendere che fattori esterni – farmaci, esposizioni ambientali e vaccinazioni troppo precoci – abbiano contribuito al boom dei casi.

Ha invitato i genitori a ritardare alcune vaccinazioni e ha messo in guardia le donne incinte dall’uso eccessivo di paracetamolo, sostenendo che entrambe le pratiche possano avere un ruolo nel fenomeno.
Si tratta di una presa di posizione frontale che rompe decenni di prudenza istituzionale e apre uno scontro diretto con l’establishment medico.

Tra scienza e politica: il doppio fronte

Gli annunci concreti si articolano su tre direttrici:

  1. Leucovorin come prima terapia riconosciuta dalla FDA per alcuni bambini con autismo e deficit di folati cerebrali. Non una cura, ma un riconoscimento ufficiale che rompe il tabù dell’“autismo intrattabile”.
  2. Avvio della revisione sull’uso del paracetamolo in gravidanza, con un’attenzione inedita al possibile legame con disturbi neuroevolutivi, dopo anni in cui l’argomento è stato marginalizzato.
  3. 50 milioni di dollari per la Autism Data Science Initiative (ADSI), un programma che integra genetica, ambiente, nutrizione, esposizioni mediche e sociali, con metodologie avanzate come machine learning e organoidi.

Dal punto di vista politico, la mossa è dirompente: un presidente in carica, insieme a un segretario alla salute che da decenni denuncia conflitti d’interesse in campo farmaceutico e vaccinale, decide di affrontare l’autismo non come dato statistico, ma come questione che chiama in causa responsabilità istituzionali e scientifiche.

L’ombra lunga dell’insabbiamento

Se accettiamo la chiave di lettura suggerita da Trump – quella dell’occultamento – emergono domande inquietanti:

  • Cosa sapevano davvero le istituzioni sanitarie negli ultimi decenni?
  • Perché non è stata avviata prima una ricerca sistematica sulle possibili cause ambientali e farmacologiche, inclusi i vaccini?
  • Quanti genitori hanno ricevuto rassicurazioni parziali o fuorvianti?

È il tema del rapporto tra scienza e potere: la scienza che produce dati, ma che talvolta – per motivi politici, economici o ideologici – non li traduce in informazioni trasparenti per la popolazione.
L’autismo diventa così la cartina di tornasole della crisi epistemologica della medicina contemporanea, divisa tra il suo mandato di cura e le pressioni di interessi industriali e istituzionali.

Ricerca: la svolta dell’esposomica

Il finanziamento NIH alla Autism Data Science Initiative rappresenta un cambio di paradigma. Per anni, la ricerca è stata quasi esclusivamente centrata sulla genetica, con l’idea implicita che l’autismo fosse una condizione innata, immutabile e indipendente dall’ambiente.
Oggi, invece, entra in scena l’esposomica, disciplina che integra fattori ambientali, nutrizionali, sociali e medici con la predisposizione genetica. Un approccio che apre scenari nuovi, ma che porta con sé anche una domanda scomoda: perché ci è voluto tanto?
La sensazione è che per anni si sia preferito non indagare a fondo i possibili contributi ambientali e iatrogeni (farmaci, vaccinazioni, esposizioni chimiche, pratiche mediche diffuse), forse per non mettere in discussione pilastri dell’industria sanitaria.

Non bisogna però cadere nella semplificazione.
La leucovorin non è la cura dell’autismo: è una speranza per un sottogruppo specifico di bambini.
Il paracetamolo resta, ad oggi, uno strumento prezioso in gravidanza: demonizzarlo senza alternative sarebbe irresponsabile.
La ricerca avanzata rischia di produrre dati complessi e difficili da interpretare, che necessitano di tempo e cautela per essere tradotti in pratiche cliniche.
Ma il vero punto è un altro: per la prima volta la politica americana riconosce la possibilità che l’aumento esponenziale dell’autismo non sia un mistero insondabile, bensì il risultato anche di scelte (o omissioni) umane.

L’impressione è che siamo di fronte a un passaggio storico. Non solo perché il governo degli Stati Uniti mette sul tavolo strumenti concreti – farmaci, etichette riviste, fondi alla ricerca – ma perché viene infranto il muro del silenzio.
Se davvero vi è stato un insabbiamento, la questione autismo potrebbe rivelarsi il “Watergate della medicina”: un caso che ridisegna per sempre il rapporto tra istituzioni, scienza e cittadini.
Per le famiglie, questa svolta è al tempo stesso fonte di speranza e di amarezza: speranza perché finalmente si intravede un cambio di rotta, amarezza perché forse per anni non si è detto tutto, lasciando milioni di genitori soli ad affrontare un enigma che poteva essere meglio compreso.

Oggi l’autismo non è più solo un tema clinico. È un banco di prova per la democrazia, la trasparenza scientifica e la responsabilità delle istituzioni.
Trump e Kennedy hanno aperto una porta che difficilmente potrà essere richiusa. La domanda ora è: la società, la comunità scientifica e i media saranno disposti ad attraversarla, accettando le conseguenze di quello che potrebbe emergere?